Cammina alla mia presenza e sii perfetto
Capo I
Che cosa sia Presenza di Dio
Cammina alla mia presenza
e sii perfetto (Gn 17, 1)
Fra tutti gli esercizi spirituali così nel Vecchio Testamento come nel
Nuovo il principale il più efficace per acquistare la perfezione è questo che
in poche parole insegnò Dio con la propria bocca ad Abramo cioè: «Cammina alla mia Presenza e sii perfetto».
Ciò e il medesimo di quello che insegna la nostra Regola in quelle parole: « Meditando il giorno e la notte nella legge
del Signore e vigilando nell'orazione». Questa è una cifra di tutto il
cammino spirituale e un'arte molto semplice per giongere alla perfezione. Se
vuoi esser perfetto cammina davanti a me, non mi perdere di vista. La maggior perfezione
alla quale un'anima possa giongere in questa vita e camminare sempre alla Presenza
di Dio. Imporque la somma di tutti gl’esercizi spirituali e che un'anima giunga
a tal stato, che tenga sempre presente Dio in tutti i luoghi, in tutti i tempi,
in tutti gl’affari guardandolo con gl’occhi interni ed avvertendo che Egli la
vede e finalmente indirizzando a lui tutti i desideri ed affezioni del suo
cuore: questo e il più rilevante esercizio, il più fruttuoso ed il più breve
per acquistare le virtù e l'unione con Dio, di cui noi stiamo succintamente
trattarne.
E prima si esaminerà che cosa sia la Presenza di Dio ed in che sia diversa
dall'orazione mentale.
Secondo, quanto antico sia quest’esercizio, quanto sia raccomandato nelle
Sacre Scritture e quanto sia praticato dai Santi.
Terzo, parleremo dell'importanza e utilità di questo esercizio e
dell'obbligo che ci costringe quello
Quarto, di quante siano le diverse maniere della Presenza di Dio.
Quinto, dei mezzi principali per acquistare la Presenza di Dio.
Presenza di Dio non e altra cosa (come appare dal suo significato) se non
un'elevazione della mente in Dio. Questo è sollevare da tutte le cose il
proprio cuore a Dio. per procurare di porci alla sua Presenza; il che è come se
dicessimo di procurare di stare coll'anima nostra avanti a Dio. Da ciò (come
poi dirassi) comprenderemo la differenza che si ritrova fra la Presenza di Dio
e l'orazione; attesoche una cosa è stare in Presenza del Re guardandolo e
considerandolo, e altra cosa è che, che oltre lo star star presente al Re, se
gli domandi grazie.
Della prima Presenza diciamo non esser altra cosa se non procurar di
raccogliersi e di innalzare il suo cuore a Dio per assister d’avanti a lui, ed
in questo formalmente consiste la Presenza di Dio: impercioche non è altra cosa
se non il tenere Dio per oggetto della nostra considerazione o dei nostri
desideri e in questo senso Dio disse ad Àbramo: Cammina avanti a me e sii perfetto. Sempre l'huomo cammina alla Presenza
di Dio, però non sempre Dio e alla Presenza degl’huomini e questo si è quello
che Dio domanda all'huomo: «Cammina alla
mia Presenza», cioè che vada in sua Presenza, mirando e avvertendo ch’egli
lo rimira.
Questo andar in presenza di Dio si può ridurre in due maniere: la prima in
rigore si chiama orazione, la seconda si chiama esercizio di divota affezzione
verso Dio. Inperoche, questo tener Dio presente non è il fermarsi alla sua presenza,
e come istupidito guardarlo, avvengache questa saria cosa di poro frutto e
assai di rado accaderà che un'anima fissi gl’occhi in quella Bontà di Dio e non
domandi grazia a quella immensa Bontà e non ne tragga altri affetti di
ammirazione, di humiltà, di fiducia, d’amore e altri somiglianti. Da ciò
proviene, che subito, I 'anima si pone in Presenza di Dio siegua o il rappresentargli
i suoi bisogni, o il chiedergli rimedio per essi, questo è quello che
propriamente chiamano orazione mentale; oppure ne cava altri divoti affetti ed
esercita altri atti di vinrtù che parlando meno propriamente si chiama ancora
orazione. Tuttavia propriamente è presenza ed assistenza di Dio, quale con più
rigore si potrebbe chiamare un tratto familiare col medesimo Dio. Dell'uno e
dell'altro modo habbiamo a trattare brevemente, affinché s'intenda quello che
propriamente è orazione e quello che è Presenza di Dio.
Nell'orazione mentale (come insegnano i Santi) concorrono tre atti. Il
primo è l'elevazione della mente a Dio che consiste nel porsi in Presenza di
Dio. Il secondo è acquistarsi la benevolenza di Dio, offrendogli sacrifìcio di
lode e ringraziamento per i benefici ricevuti e honorandolo e glorificandolo
così per esser egli quello ch’è come per le opere e meraviglie che ha fatte. Il
terzo è chiedergli rimedio per i nostri bisogni, allegandogli alcuni titoli e
ragioni quali ha, perche il Signore ci conceda le grazie che gli domandiamo. La
prima e terza cosa sono essenzialmente dell'orazione mentale, e pongasi mente
che l'innalzar il cuore a Dio e il domandargli, tutto si contiene nell'ultima, qual’è
la petizione; attesoche che chiunque domanda, se lo fa come deve, deve aver
presente la Persona alla quale domanda. Questo può dichiararsi coll'esempio di
un povero il quale, la prima cosa que faccia, è il poners alla presenza di chi
può sovvenirlo; e subito poi gli domanda. Siegue dunque bene, che quello, che
domanda, deue star alla presenza di quello al quale domanda. La seconda delle
predette cose, qual’è il rendimento di grazie, ancorché non sia di necessità,
tuttavolta è un gran mezzo per ottenere da Dio quello gli domandiamo; conforme
insegna il glorioso S. Basilio al Capo
secondo delle sue Constituzioni Monastiche con queste parole: Quando vi ponete all'orazione, non
incominciate subito dalla petizione, mà prima dovete separare il cuor vostro da
voi medesimo, per inalzarvi da tutte le cose della terra, e sublimandovi, e soprapassando
tutte le creature sì visibili, come ivisibili, lo dovete collocare in Dio, glorificandolo
e lodandolo. Doppo poi, che vi sarete fermato per alcun tempo in questo, impiegatevi
in rendergli grazie per l'inesplicabile Sua clemenza nel soffrire i peccati degli
huomini e specialmente i vostri, ed in oltre per i gran benefici, che ha fatti
al Mondo. Havendo in questa guisa compito con il rendimento di grazie à Dio, e
con il profondamente humiliarvi avanti la Presenza di sua Divina a, Maestà,
all'hora gli potrete domandar il Regno de Cieli. Tutto ciò è di S.Basilio.
Ma perché l'innalzare il cuore a Dio si può indirizzare non solo per
domandargli grazie, ma parimenti a molti altri fini come sarebbe per meditare,
conoscere e contemplare le sue grandezze, lodarle, benedirle, glorificarle e
per esercitarsi in altri devoti affetti. si ritrova perciò un'altra maniera di Presenza
di Dio più generale, la quale eziandio si chiama orazione: parlando però meno
propiamente di questo nome, orazione, nel qual modo racchiude qualsivoglia divoto
affetto dell'anima verso Dio. Di manera che, Presenza di Dio è qualunque
pensiero buono, qualunque compiacenza e qualsivoglia desiderio di Dio o di
alcuna virtù: e questo medesimo è orazione. Per il che trattando di questa
orazione e Presenza di Dio dice S. Agostino: non è altra cosa orazione se no
una salita dell´anima dalle cose terrene alle celestiali, una meditatione delle
cose sopranaturali, un desiderio delle cose invisibili: Parole, nelle quali
racchiuse tutti gli atti e operazioni delle potenze interiori dell’anima. S.
Gregorio Nazianzeno parimente disse, che l’orazione non è altra cosa se non un
tratto familiare con Dio: attesoche si come nel tratto familiare di due amici
si esercitano tutti sentimenti corporali, mentre doppo l’esser vicendevolemente
presenti, cogl’occhi si mirano e conoscono, coll’udito si ascoltano, si toccano
e parlano familiarmente con gran piacere: nell’istesso modo deve imaginarsi,
che l’anima nostra tenga dentro di sé altri cinque sentimenti spirituali, con
quali parla e tratta con Dio e sta alla sua presenza. Al senso esterno della
vista corrisonde l’intendimento, con il quale medita, e contempla; alla lingua
il desiderio, che interprete dell’anima gli parla, e coll’udito spirituale
l’ascolta, e con la volontà lo gusta e abbracia. Per il che disse molto bene S.
Bernardo[1] che in quella manera, nella quale sono nel corpo i suoi cinque sentimenti,
con quali l'anima si unisce al corpo mediante la vita che gli comunica, nel
medesimo modo l'anima ha i suoi cinque sentimenti con i quali si unisce a Dio
mediante la carità. Di questi spirituali sentimenti quelli che corrispondono al
vedere, all'udire, ed odorare sono operazioni dell'intelletto e quelli che
corrispondono al toccare e gustare sono operazioni della volontà. Donde siegue
che dal conoscimento e dall'amore nascono queste differenze degli spirituali
sentimenti, con quali l'anima nell'orazione tratta con Dio e cammina alla sua Presenza,
una volta operando essa, cioè quando lo mira, conosce parla ed ama Dio, un’altra
volta ricevendo, cioè quando ode, gusta quello che il Signore le vuole dare.
Tutte le operazioni di questi cinque sentimenti, quali sono vedere, udire,
gustare, odorare, toccare, sono tutti atti della Presenza di Dio e il
domandare, in rigore, non solo è Presenza di Dio, ma eziandio orazione. Laonde
qualsivoglia orazione, la quale in rigore sia orazione è Presenza di Dio, non
però tutto quello ch’è Presenza di Dio è rigorosamente orazione.
E poiché questo e l'esercizio che Dio tanto raccomandò ad Abramo con
dirgli: «Commina alla mia Presenza e sii perfetto», dicchiariamo alquanto queste
parole. Il primo loro senso è molto profondo e pare che Dio dica ad Abramo: averti
di camminare come una persona la quale cammina a veduta d’occhi tanto delicati,
come sono i miei che sono scrutatori del più intimo del cuore, che sono occhi
tanto perspicaci che penetrano il più profondo ed occulto dei nostri pensieri,
che sono occhi tanto limpidi e puri che un neo o una piccola mancanza li
offende. Con ciò diede ad intendere ad Abramo la sottigliezza con la quale
doveva andare considerando che Dio lo stava mirando.
L'altro senso è il più ordinario, nel quale Dio raccomanda ad Abramo che
non lo perda di vista e che lo tenga sempre d’avanti ai suoi occhi ed al suo
cuore, se vuol essere perfetto. Alcuni vanno avanti di loro medesimi, peroché
in tutte le cose unicamente collimano alla propria comodità, alla stima di loro
medesimi e tengono come per loro dei le proprie soddisfazioni, e di questi
disse S. Paolo « che il ventre è loro dio e che cercano le cose loro, e
non quale di Gesù Christo ( cf. Fil 3, 19
) Di questi se ne trovano molti, avvengaché, come dice un Dottore spirituale,
la nostra natura si ricurva in sé medesima, nel modo che il circolo ritorna al
punto dal quale cominciò. Questo propriamente vuol dire l'andare in presenza di
se medesimo.Altri vi sono che vanno in presenza di quelli che gli stanno d’appresso
e di tutti quelli con i quali conversano, attesoché non hanno altra mira nelle
loro azioni se non di farle d’avanti gli occhi degl’huomini e per essere da
loro lodati e stimati. Questi sono quelli che tengono per idolo «il che diranno», e piacesse a Dio che
questo idolo non regni ancora nella Religione. Certamente è cosa
compassionevole il vedere che nella casa di Dio questo idolo pretenda quest’idolo
havere il più eminente luogo. Dice la Sacra Scrittura che quando i Filistei
collocarono l'arca del Signore nel tempio di Dagon, che subito l'idolo cadde
dal suo luogo e lo ritrovarono la mattina con le braccia spezzate. Hor che cosa
è questa che dentro l’anima nostra tante volte, non dico è posta l'Arca del
testamento, ma il medesimo Dio racchiuso nell'Arca degli accidenti e specie di
pane, e con tutto questo l'idolo del «che
diranno» sta tanto radicato nell’altare del cuore, che non cade? Diceva S.
Paolo. «Se io piacessi agl’ huomini non sarei servo di Dio»(cf I Ts 2. A).
Altri finalmente tengono Dio presente e procurano di camminare d’avanti a lui, adempiendo
l'insegnamento che Dio diede ad Abramo con dirgli: «Cammina alla mia Presenza e
sii perfetto»
Questo è quello, che lo Sposo tanto raccomandava alla sua Sposa con dirle: Ponimi come sigillo sopra il tuo cuore, como
sigillo sopra il tuo braccio. Io voglio essere lo scopo dei tuoi pensieri,
la tramontana dei tuoi desiderii e l’unico oggetto del tuo amore. E non solo il
tuo cuore ha de esser del tutto dipendente da me, ma eziandio mi ti devi
prefiggere per scopo di tutte le tue azzioni: Ponimi come sigillo sopra il tuo braccio, peroché hauendomi
presente e misurandole con la mia volontà e legge tutte saranno buone e
perfette.
Concludiamo con quello che dice Davide: « Cercate il Signore, e
stabiliteni, cercate sempre la sua faccia » (Sal 105,4). Se volete esser costanti
e forti in tutto il bene cercate il Signore. Eh che cerchiamo quando non
cherchiamo Dio? Cercate il Signore Se desideriamo la sazietà delle nostre brame
e riempire queste vacuità dell'anima nostra e finalmente tutto il bene non solo
nella vita eterna, ma eziandio nella presente si cerchi sempre la sua faccia, che
in tal modo conseguiremo grazia in questo esilio, qual sarà come una Vigilia
della Gloria e dipoi perveniremo all'Eterna.
Capo II
De' frutti e l'utilità della Presenza di Dio
Ancorche apparendo Iddio ad Abrahamo l’ammaestrasse
in quest’arte di servirlo, tuttavia la sua pratica è molto più antica: attesoche
molti secoli avanti, che fosse Abrahamo haveva ispirato Iddio a' cuori de suoi
eletti quello esercizio di camminare alla sua presenza. Incominciamo dagl'Angeli
del Cielo, che da quando Iddio li creò praticarono questo esercizio dello star
in sua presenza. Così nel Libro di Tobia si dice: Io sono l’Angelo Rafale, uno di quo' sette, che assistiamo avnnti del Signore,
e dicendo esser uno di que’ sette dinotò esser vno de’ più intimi. Del qual
numero è parimente l’Archangelo S. Gabriele, com'egli medesimo raffermò quando
apparve à Zaccharia dentro del Sancta Sanctorum, e le disse: Io son Gabrele, che
assisto alla presenza di Dio; e de' medesimi dice S. Giovanni nella sua Apocalissi:
E tuti gl’Angeli stavano intorno al Trono.
Discendiamo hora dal Cielo a'nostri primi Genitori.
Menetre Adamo camminò alla presenza di Dio, ed era unito per amore con lui, perseverò
nella sua innocenza, ma subitom, che perde di vista la presenza di Dio, e si pose
in afcoltar, e rimirar la sua Sposa Eva, peccò, e fù spogliato di tutt'i tesori
della Giustizia originale: E quindi avvenne, che Dio doppo il peccato domandale
nel Paradiso di Adamo, dicendo: Adamo
dove sei? Impercioche avanti staua alla sua presenza servendolo, e aggradaendogli,
ed hora si è smarrito come assente dalla sua presenza. Così parimente suole un
Signore domandare quando alcun suo Cameriero manca dalla sua presenza, dove stà
il tale?
Doppo il peccato e fuori del, Paradiso praticò questo
medesimo esercizio il Giusto Abele, del'quàle dice Gioseppe: Era Giusto Abele, e sapendo esser Dio presente
à tutte
le sue azzioni, attendeva all'esercizio delle virtù. Così vediamo, che riguardò Iddìo
ad Abele, ed à suoi
doni, e la ragione di ciò si è perche Abele mirava Dio, e lo teneva
avanti gl'occhi, e così Dio lo rimirava: ma Caino non mirava Dio, dicendo la
Scrittura, che Dio le disse: perche stai
così discaduto di faccia? Cioè perche rieni gi'occhi fissi in terra, e non
guardi à me? Leggiamo altresì il medesimo nella Sagra Scrittura degl'altri Santi
del Vecchio Testamento. Di Henoc si dice nella Genesi, che, camminava con Dio, il che è quanto diri che
andava alla sua presenza, e per ciò non solo piacque à Dio, ma eziandio si
merito l’esser trasferito al Paradiso, dove ancora vive. Finalmente Noè praticò
con grand'esattezza questo esercizio, e di lui si dice nella Genesi: Noè fù huomo giust e perfetto nelle sue
generazioni, cioè in tutte l'opero sue, e
camminò con Dio; e il medesimo si raccoglie dal Capo settimo, in cui si
dice: Perche in questa generazione ti hà
veduto giusto alla mia presenza.
Tutto ciò accadde aVanti la legge scritta, e doppo
di quella ritrovaremo altresì molti etempi. Diceva David: Io procuravo tener sempre alla mia presenza il Signore, e sicome
gl'occhi de’ serui sono nelle mani de’ loro Signori, e sicome gl'occhi della schiava
sono nelle mani della sua Signora, così gl'occhi miei sempre al Signore. E
pongasi mente è quella parola sempre
qual pone il Santo Profeta in ciascheduno degl'allegati testi. I nostri Santissimi
padri Elia ed Eliseo haveuano per loro continua invocazione: Vive il Signore alla di cui presenza io stò,
cioè nel modo, che uno direbbe sempre io cammino, e parlo alla presenza del mio
Dio,e potrà essere, che d'avanti à Lui io menta? non sarà altrimenti da quello,
che io dico. Il nostro Santo Padre Eliseo disse parimente à Naaman, che voleua
dargli alcuni regali, e cofe preziose: Vive
il Signore alla di cui presenza io stò, che
non le riceuverò: come se dicesse d'avanti al mio Dio haverò io ardimento
di venderla sua Graxzia? Non può esser in alcun modo, peroche Dio mi stà mirando,
ed io cammino sempre d'avanti à Lui. Da ciò si è originato un modo di giurare
introdotto nel volgo, e con il quale alcuni sogliono affermare, ò negare
qualche cosa dicendo: così e alla presenza di Dio: quasi volessero dire :
Sò,che stò d'avanti à Dio non hò à dire una cosa per un'altra. Questa medesima
maniera di accettazione usò l’Apostolo scriuendo à Galati: Queste cose che io vi scrivo, ecco che avanti à Dio io non mento. Di
molti altri Santi, e Giusti del Vecchio Testamento leggiamo esserfi esercitati in
questa presenza di Dio, quali sono Geremia, Ezechia, Tobia, e più altri.
Se questo esercizio della Presenza di Dio fu tanto
usato nell'antica Legge, molto più lo è stato in quella di Grazia. Il Santo
Profata Zaccharia Padre di S. Giovanni Battista ci ammonisce, ed invita à questo
santo esercizio dicendo: Serviamo à Dio
in santità, e giustizia alla sua presenza per tutti i giorni della vita nostra.
E per consolazione di questo Santo Profeta gli promisse l'Angelo, che il
Battista, suo figlio hereditaria dal Padre questo santo esercizio, dicendogli: Sarà grande alla presenza del Signore, come
se volesse dirgli, che da ciò sariasi originata la sua grandezza. Non può
altresì dubitarsi che la Vergine Santissima non andasse sempre in presenza di
Dio, ò per meglio dire non fosse così uinta à Dio, che non fosse sempre tutta
trasformata in lui, come si raccoglie da quelle parole: Piena di Grazia. Era Iddio in Lei con una particolarissima maniera
d'unione, e per conseguenza Ella era tutta unita, ed assorta in Dio, in guisa tale,
che harebbe potuto più tosto dirsi esser il medesimo Dio per unione, e
trasformazione d'amore, che andar in sua presenza.
Di sé medesimo, e di tutti gl’Apostoli confessa l’Apostolo
San Paolo questo istesso: Non siamo del
numero di que’ molti, che adulterano la parola di Dio, mà parliamo con sincerita,
come da Dio, in Giesù Christo ed alla presenza di Dio. Pensate forfi, che ci scusiamo
alla presenza di Dio? noi parliamo in Christo. Et il medesimo S. Paolo di
sé e degl'altri Apostoli: dice: La nostra
conversazione è ne' Cieli. Il medesimo esercizio sì è parimenete continuato
in tutti i Santi o Giusti del Nuovo Testamento, de quali si legge nelle loro Historie
hauer osservato quel precetto di Christo Signor nostro: E mestieri sempre far orazione, e mai cessare; e altrove: Vegliatee fate orazione.
Per quella ragione nella Sagra Scrittura molto si
raccomanda l'esercizio della Presenza di Dio, impercioche non solo lo raccomandò
Iddio ad Abrahamo, mà parimente a' suoi successori, che puntualmente l’osservarono,
come lo afferma Giacob dicendo: Dio alla
cui presenza camminarono i miei Padri Abrahamo, e Isaac benedica quelli
fanciulli. L’Ecclesiaste in oltre ci invita alla continua memoria della Presenza
di Dio, dicendo:Beato l’huomo, che dimorarà
nella Sapienza, e che meditata nella tua gustizia, e con sentimento pensarà all’esser
da per tutto mirato da Dio: quasi vuolesse dire: felice chi si porrà à considerare
l’immensa Sapienza del nostro Iddio, che maravigliosameate risplende nelle
creature: e felice altresì quello, che medita l'opere, ed effetti della Giustizia
e profondi giudizi; del nostro Iddio: atteso che il primo l'incitarà al suo
amore, e il secondo al suo timore. E deve specialmente notarsi quella conchiusione:
con sentimento pensarà all’esser da per
tutto mirato da Dio, peroche vuol dire, che giongerà à tal felicità, che
venga à sentir Iddio presente nell'anima sua, ò per dirlo più chiaramente; quello
che camminerà alla presenza di Dio con quella avvertenza continua, che Dio lo
vede e che stà sempre pensando quanto gran circospezzione Iddio richieda sarà
beato.
Mà perche sarebbe cosa molto prolissa il riferire
tutte le sagre testimonianze, conchiudiamo con una del Profeta Michea: Io ti manifestarò, ò huomo, quello che da te
Dio richieda, e ciò non è altro se non il giudicar rettamente, il far mifericordia,
e con molta accortezza camminare alla presenza del tuo Dio. Quasi dicesse: Devi
sapere esser mestieri, che giudichi, e riprenda te medesimo, che gastighi, ed
emendite medesimo, che punisca, ed emendi i tuoi mancamenti, che babbia carità
con il tuo prossimo, non danneggiandolo nè con pensieri, nè con parole, nè con opere,
ma più tosto facendogli bene, e finalmente, che vada sollecito, e con molta
circospezzione ed auucrtenza alla presenza di Dio.
Cagiona la continua Presenza di Dio gran profitto
in un'anima, ed in quella maniera, che il tener Dio presente a'nostri occhi è
origine di molti beni, così non sono minori i mali, che seguouo dal non hauerlo
sempre à noi presente. Nasce da ciò tutta la perdizione de'peccatori, attesoche,
come si dice nel Salmo, per non estar Iddio davauti agl'occhi loro, per quella
cagione sono immondi, e sucidi tutti i loro cammini. Adinviene loro come à
quell'Artefice, che non hauendo avanti gl'occhi, il modello della sua arte,
infallibilmente erra, e trasgredisce i precetti di quella. Nella medesima
maniera essendo Dio la regola, ed esemplare di tutte le nostre azzioni, ove si
perda di vista saranno senza dubbio difettose. Ciò pare vuolesse dinotare il
Santo Rè David in quelle parole: Signore
gl'iniqui sono venuti sopra di me, ed i potenti hanno cercata l'anima mia, e
non hanno posto te alla loro presenza; e quasi il medesimo ripete nel Salmo
55, doue di scorge, ch’egli assegna per cagione de'loro peccati il non hauer
d'avanti à gl’occhi la regola del ben'operare, qual'é Dio. Dice parimente in un'altro
Salmo: Determinarono di tener gl'occhi
loro flssi in terra, e ciò per non vedere quella Regola di Verità. Per
l'opposto l'hauerla Susanna mirata con tanta attenzione la rese si collante
contra à que' perversi Vecchi, onde potè con grand’ animo esclamare: È meglio per me il cadere nelle vostrte mani,
che peccare alla presenza del Signore. Ecco come la memoria di star alla presenza
di Dio, e l’esser da luì mirata gl'avvalorò il cuore per non offenderlo; La dove
persuadendoli i cattivi di non esser mirati da Dio, e ch'egli non tenga conto
de'loro peccati, gli porger occasione per allentar la briglia ad ogni sorte di
vizi. Di quelli parlò il Sauio quando l’introdusse à dire di Dio: Egli passeggia d'appresso à limìnari del
Cielo, e non considerà le cose nostre. Dal che deducevano, che puotevano
darli in preda ad ogni sorte di vizio, o delizie sensuali, mentre seguono à dire:
Non sia verun prato per il quale non
passino le nostre lascivie. Dà ad intendere il medesimo il Profeta
Ezechiele, dicendo: Grand’è e sopramodo
eccedente l'iniquità della casa di Israele, e di Giuda, e la terra è ripiena di
sangue e la Città è colma d’avversione, peroche dissero, il Signore hà
abbandonatati la terra, e non ci vede. Il Profeta Isaia parimente minaccia
dicendo: Guai à voi, che siete di cuor profondo,
per nasconder il vostro conseglio, e l’opere de’quali sono nelle tenebre, e
dite, chi ci vede, e chi ci conosce? Il P. S. Ambrogio finalmente prescrive
come principal rimedio per non peccare, il considerare, che stiamo in presenza
di D io, e che siamo mirati da' suoi Angeli.
Quindi avviene, che sicomo tutto il nostro danno,
e perdizione nasce dal non tener Dio presente, così per l'opposto la fonte, e scaturigine
del nostro bene e il vivere e camminare alla sua presenza. Imperoche
primieramente s’infonde all'anima di quello tratto con Dio gran fortezza, non solo
per proceder con rettitudine, mà eziandio per resister a' Demoni, ed a'vizi. Ponimi da presso à te, diceva Geremia, e la mano di chi si sia combatta contro di
me. Et il Salmista: Io procuro tener
sempre Dio alla mia presenza, avvengache
ch'egli stà alla mia destra, perche
io non sia mosso. Diceva in oltre S. Antonio Abbate, che l'unico rimedio
per le tentazioni è la continua memoria di Dio; ed il Monaco Diocles afferamava,
che cessando l’Anima dalla considerizione di Dio presente, diveniva ò bestia, ò
Demonio: impercioche ò era vinta dalla carne, che la fà Bestia, è dalla superbia,
che la fà Demonio.
Secondariamente riceve luce, e prudenza per le sue
operazioni e disinganno delle cose del Mondo. In oltre una molto ferma speranza,
peroche hauendo detto il Santo Ré David: io
procurano hauer sempre preferite il Signore, siegue à dire, e di più la mia carne si riposarà nella speranza.
Cagiona altresì la continua memoria di Dio una molto grande purità di cuore: attesoche
à poco à poco vi rierahendo i suoi desideri, ed affezzioni, che tiene posti
nelle creature, e che la contaminano, e trasferendoli in Dio contempla, come
Aquila Reale quel Sole,che purifica; e rinuova. Sono eziandio frutti di quello esercizio
la fermezza del cuore; attesoche separando l’anima dall'unione alle creature,
che la facevano istabile, e convertendosi à Dio, che non si muta, riceve stabilità.
Sii congionto all'eterno, dice S. Agostino,
e participarai l'eternità, all'immutabile
e participarai l'immutabilità Acquista parimente composizione interna ed esterna
quell’huomo, che riguarda Dio nel suo cuore: essendo egli come un seruo, qual stà
alla presenza del suo Padrone, che sarà di scomposto? E per il contrario quanto
vuoto, e vano andarà un huomo senza di quella? Ultimamente apporta gran soauità,
mi ricordai di te, ò Signore, e mi sono
dilettato, ed oh quanto discontento andarà un huomo senza Dio? E per il
contrario quanto contento alla sua presenza?.
Non deue però questo intendere d'una Presenza di
Dio arida, mà bensì d'un mirar Dio, qual stà nel centro dell'anima, e d’vn rivolgersi
à lui con orazioni, iaculatorie. Ricchezza grande, e dono degno di Dio è il
camminar un'anima alla sua divina presenza, conversar seco, e ricevere. nel suo
intendimento illustrazioni dalla sua Divina sapienza, e nella sua volontà l’accese
fiamme dal suo Divino Amore. E scritto nel libro de'Regi, che tutta la Terra desiderava
vedere il viso del sapientissimo Salomone, e che da molto lontani paesi venivano
huomini per vederlo, ed ascoltarlo, e che la Regina Sabba subito, che lo vidde,
ed vdidisse con grand'esagerazione, Beati sono que' Cavalieri, e servi tuoi che
assistono alla tua presenza, e stanno sempre d'avanti à te: mà quanto più
beata, e felice sarà quest’anima, che merita assister sempre à Dio?
Seneca seguendo Epicuro, che diceua fà tutte
le cose tue, como se alcuno ti stese mirando, aggionge quello, che non solamente
giova per viver bene esteriormentem ed è il far conto, che stiamo alla presenza
d'una Persona grave: mà parimente quello, ch'è profittevole per l'interno, cioè
il far quelsto medesimo conto quanto a'pensieri procurando hauerli tanto limpidi,
come se altri havessero à vederli: Giova
senza dubbio (così egli) l’hauersi costituito un custode ed havere in chi rimirare,
giudicando ch'egli sia presente a’ tuoi pensieri. Questo certamente è più giovevole
vivere sempre, come sotto gl'occhi ed alla presenza d'alcuna virtuosa persona.
Io però mi contento, che in tal guisa facci „ tutto quello, che sai, come se alcuno
rimirasse. Il riputarci soli ci persuade ogni cattiua azzione. Quando ti sarai
tanto approfittato, che habbia rispetto di te medesimo, potrai lasciare il
direttore: frà tanto guidati coll'autorità di alcuni, ò sia egli Catone, ò
Scipione, ò Lelio, ò tal Persona, che alla sua presenza si reprimeriano
gi'huomini di perduti costumi; e ti farà tale, come quello con il, quale non oseresti
commetter peccato. Da quello medesimo consiglio in più luoghi il P. S. Basilio.
Sino à qui habbiamo trattato delle utilità e giovamenti
di quello esercizio, diciamo hora alcuna cosa della sua nobiltà, ed eccellenza.
Primieramente la perfezione della Creatura consiste nello star unita col suo
Creatore, e per mezzo di quello esercizio della Presenza di Dio la creatura
ragionevole si unisce con Dio: anzi quello è quell'impiego, ed occupazione, che
nella terra fà gl'huomini Angeli: avvengache sicome quelli sempre veggono la
faccia dell'Eterno Padre, nell’istesso modo, quanto in quella vita e permesso,
la veggono quelli, che hanno quello dono di tener Dio presente. Né ciò
solamente conseguiscono quanto all'impiego, mà eziandio quanto all'assomigliarsi
nella purità agl'Angeli; mentre la continua presenza di Dio purifica il cuore.
Laonde in quella maniera, che alla purità segue il veder Dio, cosi parimente al
vederlo, e tenerlo presente segue maggior purità nell'anima. Ci fa in oltre Angeli
nella grandezza, e fortezza d'animo, peroche sicome gl'Angeli vedendo le
grandezze di Dio disprezzano tutte le cose create, così parimente accade à
quelli, che si esercitano nella Presenza di Dio. Così diceva Giob: Signore ponetemi d'appresso à voi, e
combatta pure contra di me la mano di chi si sia; ed il Salmista: Se camminarò in mezzo dell'ombre della morte,
non temerò male alcuno, poiché tu sei meco.
Grand'è la dignità de' Favoriti deli Rè, e de'
Signori della chiave d'oro, e ciò perche assistono alla loro presenza, e con essi
trattano; hor quanto maggiore sarà la dignità di quelli, che assistono d'avanti
à Dio, e seco familiarmente trattano?
Prima di tutto la perfezione della creatura consiste nello stare unita con
il suo Creatore e per mezzo di questo esercizio della Presenza di Dio la
creatura razionate si unisce con Dio; anzi questo è quell'impiego ed
occupazione che nella terra fa gli uomini angeli. Poiché come questi sempre
vedono la faccia dell'eterno Padre, nello stesso modo, per quanto in questa
vita e permesso, la vedono quelli che hanno questo dono di tenere Dio presente.
Né ciò solamente conseguono quanto all'impiego, ma anche quanto
all'assomigliare nella purezza agli angeli; mentre la continua Presenza di Dio
purifica il cuore. Perciò in quella maniera che alla purezza segue il vedere
Dio, così parimenti al vederlo e tenerlo presente segue maggiormente la purezza
nell'animo. Ci fa inoltre angeli nella grandezza e fortezza d'animo, perché
come gli angeli, vedendo le grandezze di Dio, disprezzano tutte le cose create,
così nello stesso modo accade a quelli che si esercitano nella Presenza di Dio.
CAPO III
Dell'obligazione, che habbiamo di camminar sempre alla Presenza di Dio
Inuita la Sagra Scrittura in molti luoghi tutt'i Christiani
alla continua orazione, e presenza di
Dio, come si scorge in quelle parole deli' Ecclesiastico: Non pongasi impedimento alla continua orazione. Nel Santo Vangelo
altresi non solo con parole, mi eziandio con alcune parabole siamo esortati
all'assidua orazione, e conseguentcmente alla Presenza di Dio. Ciò si vede nella
parabola di quello, che domandò con tanta importunità al suo amico, che gli prestasse
tre pani, ed in quella della vedoua, la quale coll'istanze delle, sue preghiere
ottenne dal Giudice quello, che pretendeva. Quindi è, che in quel medesimo
Capitolo Christo, ben nostro ci obliga à continuamente orare, e tener Dio presente,
dicendo: E mestieri far sempre orizione,
e mai cessare. Quali che più chiaramente dicesse: importa molto quello esercizio
continuo dell’orazione, e deve esser tanto continuo, che giamai si intralasci.
Scrisse il medesimo Apostolo à Tessalonicensi in quelle parole: fate oraziane senxa intermissione. Che se
parliamo dell'orazione in senso rigoroso, conforme da noi si spiegò nel Capo
primo, pare assai certo, che lo Spirito Santo ne'luoghi addotti da noi non la
richieda, peroche questo sarebbe cosa impossibile, solo dunque ci esorta
all'orazione in generale qual’è una medesima cosa con la Presenza di Dio. A
quella ci esorta, ed invita, e non à qualsivoglia Presenza di Dio, mà bensì ad
una continua, e perseverante, e molto simile à quella degl'Angeli nel Cielo. Si
esercitava nella medesima il Santo Ré David quando di se stesso affermava: Io procurava havter Dio presente, ed ad hauer
la medesima ci ammonisce l'Ecclesaste con quelle parole: pensa continuamente à lui, ed egli indirizzarà i tuoi passi.
Per questa continua Presenza di Dio alla quale la sagra
Scrittura ci esorta, non hà da intenderli deca essere una fisica, come dicano,
ò natural continuazione, il che altrove habbiamo dichiarato, mà bensì ci si
domanda un continuo affetto, e deesderio di piacere à sua Divina Maestà, ed un'assidua
sollecitudine d'inalzar il cuore al Signore, in quanto però in questa vita
mortale ci si permette. Così lo dichiara
il P. Sant'AgoftinO nella sua Ietterà à Proba, e nell'esposizione
de'Salmi in quel versetto: Signore, avanti
di te stà ogni mio desiderio, dove dice così: Il tuo medesimo desiderio, e la tua orazione, ed il continuo desiderio
diviene orazione contemplativa: attesoche non è superfluo quello dice l'Apostolo
“fate orazione senza cessar mai”. Forse che potiamo sempre star genuflessi, ed inalzar
le mani à Dio? Non è possibile il non mai interrompere questo modo d'orazione. Si
ritruova un'altra maniera d’interna, e non mai interrotta orazione, la quale
consiste nel desiderio. Se non vuoi interrompere l'orazione, non interrompere il dediderare. II tuo continuo
desiderio, è una tua continua voce; all'hora tacerai, quando cessarai
dall'amare : le brame della Carità, sono clamori del cuore se sempre si ritruova
in te la Carità, sempre esclami: se sempre esclami, sempre desidri. Tutto
ciò è del Padre S. Agostino.
Con il medesimo sentimento parlò il P. S. Basilio
nella sua orazione à Giulitta, dicendo, che sicome molto spesso accade, che amatori
del mondo, quantunque hora mangino, hora bevino, ed hora siano occupati in
altre faccende, nientedimeno pensano con desiderio alla cosa, che amano, ed
anche dormendo conversano con quella sognando: nell’istesso modo è coda non
molto difficile, che i veri amatori di Dio tengano continuamente posto in esso questo
loro pensiero, desiderio,e amore. Hor quella medesima Presenza di Dio alla
quale tanto seriamente ci esorta la sagra Scrittura, e quella alla quale via più
ci obliga la nostra Regola in quelle parole: Stiano tutti nelle loro cellette,
meditando il giorno, e la notte nella Legge del Signore, e vegliando in orazione.
Quello è il principale artico lo della nostra Regola, e che più di qualsivogl’altro
ci obliga, avvengache ci obliga per due titoli. Il primo per esser commandamento,
come tutti gl'altri, che nella medesima Regola si contengono, e il secondo per
esser quello il fine principale del nostro Istituto. Questi sono i due
articoli, co'quali noi più particolarmente, che tutti gì'altri Christiani, e
Religiosi d'altri Ordini siamo obligati all'orazione, e continua Presenza di
Dio. Quello parimente fù l'antico Istituto di que' Monaci d'Egitto, o Paleflina,
e dal quale derivò altresì la nostra Regola, ed Istituto. Quei santissimi
Heroi, come riferisce Caisiano havevano per continuo esercizio, e fine
particolare del loro la continua, e perseverante orazione, e meditazione della Divina
Legge.
De'Monaci di quel tempo riferisce il medesimo s.
Giovanni Chrisostomo, nella sua opera sopra S. Matteo: Non è - dice egli - così splendido il Cielo per la varia disposizione
delle stelle, come l’Eremo. E poco doppo trattando dell'assidua orazione di
que’ Monaci segue à dire: Ne quando
digiunavano, e vegliavano, doppo il giorno si fanno lecito il riposare, mà consumano
le notti ne' sagri hinni, e vigilie, e i
giorni in orazioni, e nell’opere delle mani. S.Gregorio Nazianzeno
parimente dice: Desideravo di vedere il santo
Coro di quei, che cantano Salmi à Dio, e che nella Chiesa gl'offeriscono gloria.
Ero altresì bramoso di veder quelli, che meditano il giorno e la notte nella
Legge del Signorie nelle fauci de'quali risuonano le glorificazioni del Signore:
quelli, che per esempio e participazione del loro miglior vivere, vivono à
beneficio di tutti gl'altri, e sono taciti Predicatori della Legge del Signore
e dell’Evangelio di Christo.
Mà perche habbiamo distesamente ciò dimostrato nell’esposizione
della nostra Regola bastarà il detto. Aggiungiamo tuttavia una considerazione
peroche giova à meglio intendere quanto sia propria obligazione del nostro Istituto
la Presenza di Dio, e l'orazione, e meditazione, quali per quello appartiene al
nostro intento sono una cosa medesima. E mestieri per ciò sapere, che qualsivoglia
Religioso può esser considerato secondo tre rispetti, ò titoli particolari. Il
primo è molto fondatnentale è dell' esser egli Christiano, cioè secondo quella
prima professione qual'egli fece nel Battesimo. Il secondo è dell’esser egli
Religioso, quall’è un'altro titolo, e professione molto particolare aggionta à
quella del Battesimo. Il terzo, ed ultimo sì è dell'esser egli un tal Religioso,
qual professa una tal regola, Religione, ed Istituto, come per esempio la
Religione di S. Benedetto, di S.Basilio, la nostra del Carmine. Hor secondo queste
tre considerazioni sono differenti gl'oblighi. Impercioche quanto alla prima dell'esser
Christiano, e nella quale tutti conveniamo, l'obligazione, ò per meglio dire il nostro fine
e la Carità di Dio, e del Prossimo; ordinandosi ad essa non solo tutta la vita
del Christiano, mà eziandio tutti gl'esercizi de’ Religiosi. Non ad altro fine
ci facessimo, Religiosi, se non per esser più perfetti nella Carità, e per ciò l'acquisto
della Carità perfetta è il fine universale di tutte le Religioni.
In riguardo della seconda considerazione,qual’è
d'esser Religioso conveniamo tutti i Religiosi in questo titolo commune. Quindi
avviene, che per questa parte potiamo dire, formalmente parlando, che per il
voto dell'obedienza siamo constituiti, e stabiliti nello stato di Religiosi: e
dico per il voto dell'obedienza, peroche tratto di quello secondo, che racchiude
tutti gl'altri voti sollenni, e la professione di alcuna Regola approvata dalla
Sede Apostolica.
Finalmente l’esser Religioso d’un tal Ordine,
qual'è la terza considerazione, nasce dal professare una tal Regola, un tal fine
ò Istituto particolare. Imperoche la sola Regola non basta mentre sotto la
Regola di Sant’Agostino, ò di S. Benedetto militano varie, e diverse Religioni.
Mà l’Instituto, e fine particolare hà tali mezzi prescrirti dalle Costituzioni,
che da effe, per dir così, si codtituisce un Religioso nell'essere d’una tal
Religione, nella maniera, che per il fine, ed Istituto particolare del
predicare, e per le Costituzioni dirette à quello fine si costituisce,e distingue
dagl'altri l'Ordine de'Predicatori, e così dell'altre Religioni. Dichiariamo
ciò con un'edempio: L'huomo si puo considerare in quanto vivente, e secondo quello
concetto hà l’esser suo dall'anima vegetativa, la quale l'informa e gli dà la
vita. Io potiamo dipoi considerare in quanto è Animale, ed in tal modo è costituito
dall'anima sensitiva. Finalmente secondo il grado di ragionevole riceve l'essere
dall'anima parimente ragionevole. Così potiamo eziandio dire, che l'huomo vive
nell'esser di grazia per la Carità, la quale lo fà Christiano, l'obedienza
Religioso, ed il fino particolare Religioso d'una tal Religione. Dal detto si
raccoglie, che l’huomo secondo l'essere di ragionevole racchiude gradi di maggior
perfezzione, che secondo i gradi di animale, ò di vivento; imperoche l'anima
rationale include unitamente tutte l'altre perfezzioni dell'anima vegetativa, e
sensitiva, e aggiunge il proprio, quall’è l'ultimo, e supremo grado di perfezione.
In modo somigliante possiamo dire, che l'èsser Religioso di tal Religione, e
che professa un tal particolar Istituto include e l’esser di Christiano, qual'è
il primo grado, e il secondo, cioè l'esser di Religioso, ed aggiungo di più il fine
particolare, che ciascheduna Religione professa.
Hor quello, che io pretendo porre in chiaro è che
un Religioso Carmelitano Scalzo, qual professa la Regola Primitiva del Beato Alberto,
hà per suo fine ed Istituto particolare l'andar continuamente in Presenza di
Dio. Di maniera, che in quanto Christiano vive per la carità, in quanto Religioso
per l'obedienza, ed in quanto Carmelitano Scalzò per l'orazione, e Presenza di
Dio: attedo, che questo è lo dcopo, ed il fine particolare del suo Istituto.
Laonde ad esso principalmente si ordina tutto il rimanente, che nella nostra
Regola é stabilito, come noi difiusamente habbiamo scritto altrove. Dal sopradetto
si raccoglie tre principalmente esser le virtù più sostanziali, nelle quali habbiamo
da esercitarci, la prima delle quali è la carità, quale il fondamento di tutto l’esser
Christiano; la seconda è l'obedienza, ed osservanza degl'altri voti, per la
quale habbiamo l'esser di Religioni, e finalmente l'orazione e Presenza di Dio,
quali appartengono al nostro particolar Istituto, e sono i mezzi per osservare,
ed acquistar perfettamente l'obedienza, carità, ed altre virtù.
Da ciò si deduce, che quel Religioso Carmelitano
Scalzo sarà più perfetto, che più perfettamente adempirà questa obbligazione,
che Dio gl'hà imposto di camminare alla sua presenza. La cagione di questo,
perche una cosa tanto è più perfetta, quanto ella è più congionta al proprio suo
fine. Hor, essendo il nostro fine particolare ordinato al fine generale della
Carità,e unione con Dio, tanto più perfetti saremo nella carità, quanto più lo saremo
nell'adempimento di questo, fine particolare: essendo che questi e il principale
qual deue condurci al conseguimento della perfezzione della Carità, e Grazia
alla quale corrisponderà eziandio la pienezza, e perfezzione della Gloria.
Amen.
CAPO IV
Di vari modi della Presenza di Dio, e specialmente di quella,che si chiama corporale
Tutti i modi di orazione e Presenza di Dio si possono ridurre a quattro. La
prima è corporea che si acquista immediatamente per i sensi esteriori, come e
il vedere una immagine o una devota pittura; il leggere un libro spirituale, l’udire
un sermone o un ragionamento spirituale. Tutto cià sì chiama Presenza di Dio
corporale, avvengache per mezzo di que’ sensi corporei, innalziamo lo spirito a
Dio. La seconda è immaginaria, quando per mezzo de’ sensi interni dell'immaginazione
formiamo figure o immagini di quella cosa che più ci muove a pensare in Dio per
tenerlo presente; come quando senza vedere immagine esteriore ci rappresentiamo
la figura di Cristo dentro di noi. La terza si chiama presenza intellettuale,
cioè quando consideriamo le cose spirituali e senza corpo quali sono la bontà,
sapienza e immensità del nostro Dio. Il quarto ed ultimo modo la chiamamo Presenza
di Dio affettuosa, essendo Presenza di Dio congionta agl’atti ed affetti della
volontà. Siamo hora con la grazia del Signore a trattare di queste quattro
differenze di Presenza di Dio. Le prime tre si riducono all'intelletto e la quarta
appartiene alla volontà. E diamo principio dlla Presenza di Dio corporale.
Havendo Dio voluto che l'huomo sia composto d’anima e di corpo, apparteneva
alla sua Divina provvidenza che non solamente l'anima (che sola si nutre delle
cose spirituali) havesse oggetto proporzionato al proprio suo essere e
condizione, come sono tutte le cose intellettuali spogliate di corpo, ma eziandio,
che il medesimo corpo, o per meglio dire l'anima, per mezzo di queste potenze e
sensi corporei, havesse altresì pasto proporzionato agl’istessi corporei sensi.
Racchiude questo loro proprio oggetto tutte quelle corporali creature che nel
mondo se contengono, avvengeche eziandio per mezzo di esse come per una scala
s’innalza a Dio e si diletta nella sua presenza e conoscimento. Questo medesimo
chiaramente disse S. Paolo scrivendo a’ Romani: Le cose invisibili di Dio sono conosciute, e contemplate dalle creature
del mondo per mezzo di quelle cose, che sono state fatte (Rm I. 20). Quasi
dicesse. le perfezioni Divine, cioè la bontà, sapienza ed onnipotenza del
Creatore si conoscono ed apertamente si veggono in tutte le creature. Il Sabio
altresì riprende l'ignoranza e rozzezza degl’huomini i quali, godendo di cose
tanto buone e facendole servire alle proprie delizie, non ne ritrassero conoscimento
per investigare l'Autore e Principio di tutte le medesime cose: attesoche è
cosa assai facile giongere alla conoscimento del Creatore per mezzo delle sue
creature, considerando la bellezza e le virtù che contengono. Pienie di vanita - egli dice – sono tutti quel’huomini, che vivevano non
pervengono alla cognizione di Dio, e per mezzo di quelle cose, quali veggono, e
sono a loro medesimi buone, utili , e gioconde non passarono a intendere
quello, il quale è. Per il che non ponendo mente alle sue opere ignorano il
loro artefice: impercioche dalla grandezza della beltà e della creatura, e
della virtù delle cose create apertamente può venirsi in cognizione del loro
Creatore.
In due cose l'autore del libro della Sapienza riprende la nostra
sciocchezza e ingratitudine. La prima, perché raccogliendo il frutto delle
creature quali sono tutte ordinate al servizio ed utilità dell'huomo, non rimiriamo
all'albero che produce questi frutti. Laonde siamo così ingrati che, ricevendo
tanti benefici per mezzo delle creature, non alziamo gl’occhi al Benefattore ed
Origine di tutti loro. Questo dinotano quelle parole: e da quelle code, che si veggono, sono a loro medesimi buone, utili , e
gioconde non passarono a intendere quegli, il quale è. Come se dicesse
quello il quale è l'Autore, fonte e sorgente di tutti questi beni. La seconda
cosa per la quale il Sabio riprende gl’ignoranti e stolidi è perché havendo d’avanti
agl’occhi la grandezza, la beltà, la varietà e moltitudine dell’opere
meravigliose di Dio, quali sembrano tutte una voce, che esclamando proòulga la sapienza,
la bellezza ed infinita bontà del loro Creatore, siano tuttavia gl’huomini in
tanto rozzi, che in tutte queste cose non conoscono, e veggono Dio. Del primo
modo di tener Dio presente trattiamo in questo capo, e del secondo si dirà nel
seguente.
L'Apostolo Paolo nella sua primera lettera a’ Fedeli di Chorinto scrive
loro: O mangiate, ò beviate, ò essendo occupati in qualsivogl’altre cosa, tutto
indirizzate alla gloria di Dio(I Cor 10.31). In due sensi si possono spiegare
queste parole, il primo, è che innalziamo totalmente tutte le nostre opere,
anchorche siano tanto basse, come il mangiare ed il bere o altra cosa, a queste
somiglianti e che tutte le indirizziamo non già al nostro diletto e propria
stima, mà bensì à sua gloria. Impercioché queste cose sono per se stesse di
così vile condizione, che per loro non basta, si facciano da un Giusto ed amico
di Dio, affinché siano grate à sua Divina Maestà, mà si richiede
necessariamente che siano innalzate totalmente con qualche relazione che le
indirizzi a Dio. Vuole inoltre l'Apostolo darci ad intendere, non esser opera veruna,
posto che per se medesima non sia mala, qual non possa essere di molto merito
quando si riferisca à Dio e che perciò è mestieri, che li servi di Dio, si nel
molto, como nel poco, che operano dimentichati, affatto di se stessi pongano
tutta la loro intenzione nella gloria di Dìo. Il che parimente richiede
accioche imitiamo i spiriti Angelici, a’ quali la saga Scrittura impone nomi,
quali se bene si derivano dalle loro azzioni, il tutto nondimeno và à terminare
nella gloria di Dio. Haveva S. Michel Archangelo riportata una gran vittoria da
quel Dragone infernale, qual voleva farsi, como Dio, ed inalberò per trofeo di
questa Vittoria un Dragone dipinto a’ suoi piedi,e nel suo scudo un motto, che
diceva: Chi è come Dio? Si que niente
di questa vittoria atribuì à sè stesso. Cura Rafaele gl’occhi di Tobia, e per
memoria di questo, come degl’alitri insigni miracoli si chiama Rafaele, cioè medicina di Dio: quasi, che
voglia dire, io sono medicina, chc curo i ciechi, tuttavia non sono medicina
derivata da me, havendola apresa da Dio il quale, me l'insegnò.• Questa
è la propria condizione de’ Giusti, che non
fanno opera alcuna qual sia ordinata à se stessa, mà del tutto la riferiscono à
Dio. Nasce tutto ciò dall'operar, essi in presenza di Dio, originando da questa
il conoscimento della sua grandezza, e della
propria miseria. Quello che gioca alla Pilota se la ritiene nella mano e dopo
la rigetta, ancorche il tenerla sia per brevissimo tempo, perde il gioco, attesoche
è mestieri che la ribatta con la mano aperta
e così la rimandi a chi glie la tirò. Somigliamente quello che riceve i beni da
Dio non deve chiudere la mano, per trattenerli eziandio per un solo istante, ma
che li faccia ritornare a chi glie li
diede, si che possa dire: quelle cose ò
Signore, che habbiamo ricevuto dalla tua mano te le restituiamo, ed in tal guisa
non perderà il giuoco. Le grazie di Dio sono come l'acque de’ fonti che calano
per risollevarsi all'alto; acque che si sollievano fino alla vita eterna.
Possono le adotte parole spiegarsi in un altro senso, qual è assai proprio
e molto a nostro proposito: cio quando mangerete, o beverrete o v'impiegherete
in altra cosa qual sia di vostro utile e profitto, non siate come le bestie,
che non hanno considerazione, né riconoscimento, ma piu ttosto riflettete
all'esser Dio presente in quella creatura, mediante la quale vi fà mille grazie
e benefici. Nel mangiare considerate esser Dio presente, quello che vi
sostenta, quello che provede a tutto il cibo. Quando il Sole vi illumina e
riscalda pensate che Dio è in quello, il quale ha data quella virtù con la
quale il Sole vi riscalda, che di quella medesima creatura. Il medesimo dovete
considerare quando il fuoco vi riscalda, quando le vesti vi ricuoprono. Così
parimente nell’altre comodità e beni temporali, considerate esser tutti doni di
Dio, riceversi il tutto dalla sua mano e perciò habbiatelo presente e
rendetegli grazie. Questa maniera di Presenza di Dio doveva esercitare il santo
Giobbe il quale quando vedeva crescere i suoi beni temporali non ne attribuiva
l'accrescimento alle creature; quando le pecore gli davano la lana, la vaca il
latte, quando il cammello sottoponeva la schiena a portare il peso, quando la
terra produceva i frutti, non riguardava tanto al suo travaglio ed industria, a’suoi
genitori dai quali haveva hereditato parte da’quali beni, quanto al medesimo
Dio, qual’egli haveva presente e dalla di cui mano confessava haver ricevuto il
tutto. Così disse: Se habbiamo ricevuti i
beni dalla mano del Signore, perché non soffriremo patientemente la avversità?.
Dicono i filosofi che Dio concorre all’azioni di tutte le creature mediante
i loro supposti ed immediatamente con la sua propria virtù e vogliono dire che
quando alcuna creatura fà qualche opera, ancorche veramente la creatura stia nel mezzo
à Dio ed all'azione che l’esercita: tuttavolta
frà la virtù di Dio e la medesima azzione non framezza cosa veruna. Imporche la virtù Divina è quella
che più principalmente concorre a quell'effetto prodotto dalla creatura. E ciò
in guisa tale, che se Dio sospendesse il suo concorso, né il sole illuminaria,
né il fuoco riscaldaria, ne verun’altra creatura potria fare alcun’altra operazione.
Laonde in quel modo, che vedendo una cosa inanimata, qual è un bastone che si
muova, stimiamo subito vero darsi in quella alcun’altra virtù, dalla quale sia
mossa: così quando vedremo alcuna creatura, che opera, e che fa qualche cosa,
dobbiamo rimirar Dio, come presente, e da cui quella creatura riceve la virtù.
E questo è quello volle dir Christo Signor nostro in S. Giovanni: Il mio Padre di presente opera, ed io opero (Gn
5). Da ciò segue esser molto buona la Presenza di Dio, che quando riceviamo alcun
beneficio da qualche creatura, rimiriamo Dio, qual'è presente in quella
creatura e la riceviamo principalmente dalla sua mano. Se ci sostenta il cibo,
molto più ci sostenterà Dio quale si ritrova nel medesimo cibo. Ci apporta soddisfazione
e sollievo il sonno, non dobbiamo pensare, che ciò provenga dal sonno, ma da
Dio, il quale per mezzo del sonno è cagione del nostro riposo. Ricevete
consolazione dalle parole del vostro Superiore, o amico, consiglio dal Sauio,
elemosine dal ricco, ospitalità ne’ luoghi stranieri, pensate esser Dio il
quale per mezzo di quelle creature vi comparte tuttti questi benefici.
Il medesimo volle dirci l'Apostolo S. Paolo con quelle parole: Accioche Dio sia il tutto in qualsivoglia
cosa. Impercioche egli si ritrova in
tutte le cose, ed in tutte dobbiamo mirarlo, e le utilità, e benefici, che riceviamo
da tutte le creature, così li riceviamo come dalle mani del medesimo Dio, e qual
noi rimiriamo in tutte l'istesse creature per esser Egli l'Autore, e la sorgente
di tutti i beni. Questa Presenza di Dio della quale trattiamo non solo si deve
intendere de’benefici temporali e spirituali che riceviamo dalle creature, ma eziandio
de’ travagli ed afflizzioni che per mezzo delle creature ci vengono.
Impercioche non dobbiamo mirar tanto alle creature, quanto alla mano di Dio
dalla quale habbiamo da ricevere i travagli, e più che dalla mano della
creatura: altrimenti noi saremmo più sciocchi dei cani delle strade a’quali
quando si tira un sasso si rivolgono contro di esso e lo mordono e non mirano
alla mano che lo tirò. Non faceva in questo modo il Santo Giob, che diceva: Se habbiamo ricevuti i beni dalla mano del
Signore, perché non soffriremo patientemente la avversità? Lo perseguitavano
i Demoni, venivano i Sabei, e gli rapivano il suo bestiame, i turbini gli
diroccavano la sua casa, e pareva, che tutte le creature havessero congiurato
contro Giob, ed in mezzo di tanti mali, e persecutioni solo tiene Dio presente,
e come dalla sua mano, e non da quelle delle creature riceve i suoi nocumenti,
e travagli. Machinavano i Farisei la morte di Croce à Christo mortalmente
odiandolo, e vuolendo S. Pietro per quanto puotevaa impedirla gli dusse Christo:
Non
vuoi tu, che io beva il calice, qual mi ha dato il mio Padre? Dice haverglielo
dato l’Eterno suo Padre, avvengache in questa morte non riguardava tanto all'iniquità
de'Giudei, quanto haveva presente la volontà del suo Padre, la quale vuolevs,
ed haveva determinato, che egli, pattisse morte di croce per la nostra salute .
D'onde siegue, che se bene Dio non vuole, né concorre al peccato, qual si commette
da chi perseguita il Giusto, vuole però Dio, che il Giusto per quanto ad esso
appartiene, toleri con pazienza le affiizzioni, e trauagli, che gli vengano per
le mani de'peccatori, e che prenda il tutto, come dalla sua Divina mano.
Puotiamo per ciò dire che non concorre Dio all'azzione di chi perseguita, mà
bensì, ch’egli concorra alla passione di chi patisce, e vuole,che patisca, e
che prenda que’ trauagli, come dalla sua mano, e dalla sua santissima Volontà. Questo
modo di Prefenza di Dio, con il quale si riceve da Dio il dolce, e l'amaro,
cagiona nell'anima una gran libertà di spirito, ed una grande egualità in tutti
gl'avvenimenti, ed un gran distaccamento da tutte le creature, e per ciò é un
gran mezzo per l'acquisto della perfezzione.
Questo era l’edercizio di quel ricco povero riferito dal Taulero, il quale
per Divina rivelazione fù assegnato ad un Dottore per Maestro di perfezzione, e
che confessava non altri essre i suoi efercizi, se non il prendere tutte le sue
cose si prospere, come avverde dalla mano di Dio. Se io hò diceva todo Dio,
peroche è sua volontà, che io habbia, se ridplende il Sole faccio il medesimo, se
hò da mangiare todo Dio, che me lo dà, se mi manca lo lodo, perche me lo
toglie. Con questo modo li acquistano gran virtù, e grande accrescimento di
grazie, e perfezzione.
A quella medesima presenza di Dio corporale si riduce il mirare, ed haver
presente qualche pitrura, e divota Imagine, le quali senza dubbio giovano molto
ad haver presenti Christo Signor nostro,e l'altre cose Divine, e celestiali, che
rappresentano. Sono grandi gl’effetti operati da Dio per mezzo dell'attenta, ed
affettuosa vista delle sagre imagini. Scrive la nostra Santa Madre Teresa nella
Sua vita havergli cagionato grandissimo sentimento un'imagine di Christo assai
piagato; attesoche la mosse tanto efficacemente, che da quel punto incominciò
ad esser molto fervorosa, e grandemente diverda di quello era stata. Di questa
Predenza di Dio, qual si hà per mezzo delle sagre Imagini dice S. Bernardo in un
suo sermone sopra la Cantica le seguenti parole: E presente à chi fà orazione p la sagra Imagine dell'huomo Dio, ò
quando nasce, ò quando muore, ò quando risorge, ò quando ascende al Cielo, ò
pure in qualsivoglia altro mistero, e sarà sempre un forte legamo per unir
l'animo coll'amore alle virtù, ò vero à disccacciare i vizi, à porre in fuga le
lusinghe, à sedare i desideri. Io mi persuado, che per questa cagione principalmente
vuolesse l’invisibile Dio farsi vedere in carne, e come huomo conversare cogl'huomini,
per prima attrahere al salutevole amore della sua carne l'affezzioni tutte di
que’ carnali, che non potevano in altro modo amare ed in questo modo à poco à
poco farli giungere all'amore spirituale[2].
Ultimamente tutto il Mondo può servire per questo esercizio di Prefenza di
Dio corporale, dicendo S. Agostino: Si
come l'huomo, è stato fatto per Dio, cosi il Mondo è stato creato, perche
srvisse al'huomo. Talmente dunque fù fatto l'huotno, che e fosse servito, e servisse,
e ricevesse l'uno, e l'altro, onde il tutto poi haveva da ridondare in prò
dell'huomo, si l'ossequio, che riceve, coroe quello, che, rende.
Pongasi per ciò mente, che il Mondo e
come una casa reale fabricata dalle mani di Dio per servizio dell'huomo. Il
pavimento di quella casa e la terra adornata con tanti varietà di fiori, e di
pianti. I Vivai fono il mare, i fiumi, i laghi, rinchiusi nel suo ambito, le
colonne sono i monti, le cantine le valli, il tetto di questa casa è il Cielo,
la luce, e fenestre sono il Sole, la Luna, le stelle. Hor, quanto Dio creò in
questo Mondo, e reale Palazzo, tutto lo produsse à prò, e beneficio dell’huomo.
Il Cielo senza mai cessare si ravolge in giro per comumicargli l'influenze di
vita, le stelle gli compartono la loro luce, il fuoco il suo calore, l'aria la
respirazione, e senza punto affatticarsi le sue orecchie attrahano il suono; e
l'odorato i suavissimi odori. II mare, ed i fiumi gli servono di passo, perche
l'huomo si procacci ricchezze, ed abbondanza di pesci, con quali si sostenti.
La terra produce, in grandissima copia herbe, ed alberi, e nodrisce, e pascola
gl'animali, perche gli servano. Per il che circondato l’huomo da tutte le parti
con si immensi benefici, deve in tutti quelli riconoscere Dio, mentre non gli rimane
parte alcuna alla quale miri, che non veda d’avanti a’ suoi occhi qualche
benefizio di Dio. Laonde può ragionevolemente dirci: Dove andarò Signore lungi dal tuo Spirito e dove fuggirò dalla tua
faccia? Imperoche douunque Signore andiamo, habbiamo presente alcuna creaturam
la quale ci fà bene, ed in qualsivoglia parte incontriamo sempre quache vostro beneficio.
CAPO V
Si prosiegue medesima materia
della Presenza di Dio corporale
Vani sono tutti questi gi’huomini,
i quali non hanno cognizione di Dio. e de quelle colse, che si veggono, e sono
loro buone, utili, e dliettevole, e non pervennero à conoscere quegli, il quale
è, e non ponendo mente all’opere, non conobbero, il loro Artefice : attesoche
dalla grandezz...etc.
In queste parole, come già habbiamo incominciato à
dire nel Capo precedente si propongono dal Savio due vie per conoscere Dio, e
tenerlo presente. La prima è per mezzo delle creature riconoscendo in tutte
loro., ò almeno in quelle dalle quali riceviamo
utilità e servizio, Dio, come benefattore, ed autore de'beni quali ci
apportano le creature. Il secondo è il fare, come una scala della bellezza, disposizione,
varietà, e grandezza delle creature di tutto il Mondo per inalzarci à Dio, una come
fenestra per mirarlo , ed haverlo presente. E peroche di quella materia habbiamo
altrove distesamente parlato, hora solo dirò brievemente quello, che può esser molto
à propofito per la Presenza di Dio corporale, della quale qui trattiamo.
Sono le creature corporali à modo di colorite
Imagini, che vivamente rappresentano
all'anima le cose spirituali, ed invisibili. Sono à guisa d'un sostegno al
quale appoggiandoci l’humano intendimento ascende di grado in grado à conoscere
il suo Creatore, e farselo presente. Giova non poco à quello conoscimanto il senso
esterno della vista, ed è come il Capitano , ò la scorta per giongere à Dio: Ma tu huomo unnanime, mio capitano, e me già
noto, nelle quali parole il santo Rè David chiama capitano il suo sentimento
esterno, perche se non precedesse il conoscimento del senso esterno
all'intendimento, non potria quelli discuoprire Dio nelle creature. E non senza
gran marauigliau il senso è guida dell'intelletto, o pur quegli si rimane alla
porta, e solo l'intelletto entra à cercare il suo Creatore, e lui lo ritrova, lo
gusta, e tiene presente. I Cieli promulgano
la gloria di Dio - dice il Profeta - ed
il Firmamento manifesta l’opere delle sue mani, e fanno il medesimo tutte
l'altre creature, quantunque siano le più minime; non ve n'è alcuna la quale se
fosse da noi attentamente considerata non ci destasse alla memoria di Dio, ò
d'alcuna sua perfezione.
Domanda il P. S. Giovanni Chrisostomo in qual maniera possino i Cieli predicare la
gloria di Dio, la sua Maestà, e grandezza, con quali voci, e con qual lingua lo
faccino, e per ciò dice: Eglino non hanno voce,non hnno ne bocca, né lingua in
che modo dunque predicano? Col farsi vedere: impcroche, quando tu vedi la bellezza,
la grandezza, la sublimità, il sito, la figura , il durare per si longo tempo,
quasi che ascoltassi una voce, ed ammaestrato dal loro aspetto, adori quello,
il quale creò un si maraviglioso, e bel corpo. Col medesimo sentimento
disse S. Basilio, esser tutta la gran mole di quello Mondo per appunto come un
libro scritto con lettere, le quali attestano, e predicano la gloria di Dio, e con
eloquente facondia manifestano la sua augustissima Maestà (ancorché per altro
nascosta, ed invisibile) all’intendimento della creatura, per quanto appartiene
alla cognizione della Verità.
Più chiaramente tuttavia il. Padre S. Giovanni
Chrisostomo spiega, come le creature siano state da Dio prodotte per indurci al
conoscimento del medesimo Dio, e per inalzar la nostra mente à servirlo, ed
amarlo. Le sue parole sono: Ed affinchè
ancor egli sia conosciuto dagl’huomini, ch'è quello, ch'egli principalmente
vuole, e per il quale principalmente hà create queste cose. Quello dunque, che
dice il Profeta è di questo modo, se vì, si riflette, e si habbia capacità,
apportano queste cose una perfettissima, ed evidentissima cognizione alla mente
degl’huomini; imperoche da principio furono principalmente prodotte
all'adempimento di questa sua volontà, cioè perche con la loro grandezza,
bellezza, disposizione, operazione, ministero, e con tutto il rimanente
muovesiero l'animo di chi considerava, eccitassero la sua mente, ed intendimento
ad investigare,il loro Autore, ed eccellentissimo Autore, Dio, ed ad adorare
quegli, che l'haveva create, onde avvenisse, che tutta la mole delle creature
gli servisse di libro, e di caratteri.
Disse per ciò assai bene il P. S. Agostino esser
le creature, come fenestre per le quali vediamo la grandezza di Dio, e S.
Gregorio Nisseno la chiamò una tacente orazione di sua Divina Maestà. Il medesimo
Apostolo altresì le nominò specchio di Dio, quando scrisse a'Corinti, vediamo hora, come per mezzo d'uno spccchio,
en con cognizione enigmatica. Per il qual specchio egli intende il lume naturale,
e per la cognizione enigmatica quella dei lume della Fede. E fenza dubbio, che
la natura e uno specchio di Dio, nel quale si rappresenta la sua Imagine, e per
ciò disse il Profeta esser noi irradiati con il lume della sua Faccia: il veder
dunque Dio con il lume naturale, e veder Dio per mezzo dello sfpecchio, e come per
linea riflessa, e questo è per il conoscimento dell'artefice, dal quale furono
prodotte. Specchio è questa machina del Mondo per il quale tutti possiamo vedere
i maravigliosi chiarori della Maestà di Dio. Sono specch di Dio il Cielo, la luna,
le stelle: sono specchi di Dio gl'elementi, e tutti misti, che di loro si
compongono. Finalmente sfono specchi di Dio tutte queste cose, che sono in
terra, in acqua, le piante, le pietre, i
pesci, l'augelli, le api, e tutti gl'altri ancorché paiano vili, e piccioli
animali, quali sono gl'aragni, le mosche, le formiche, i vermi; avvengache in tutti
quelli, come in specchi vediamo l'ammirabili perfezioni di Dio. Tutte parimente
queste creature, ciascheduna nel suo genere, rappresenta all'huomo qualche
eccellenza del suo Creatore . Disse per ciò S. Agostino, che tutte le creature
à gara si sforzano manifestare I’eccelenza del loro Creatore, come se più
chiarimente dicesse: Tutte le creature hanno frà di loro una dolce, e maravigliosa
emulazione, e contesa per vicendevolmente avantaggiarsi nel manifestare
agl'huomini l'eccellenze del loro Creatore, che in sé medesime racchiudono. Il
Cielo con la sua ampiezza, e bellezza predica la grandezza, e bellezza di Dio: Tuttavolta,
e la formica, ed il moschino pretendono non cedergli nel manifestare l'infinita
sapienza del loro Dio, che ne'loro picciolissimi corpi fabricò tutti gl'organi,
e sensi sì interiori, come esteriori, e tanto perfettamente distinti, come in un'Elefante,
ò Rinoceronte. Non si ritrova creatura nessuna per picciola, che sia nella
quale mirabilmente non risplendano questo tre cose, cioè: l’onnipotenza, la sapienza,
e la bontà del nostro Dio. Si manifesta l'onnipotenza nella moltitudine delle
creature, loro grandezza; la sapienza nell'ordine, disposizione, e qualità con le
quali Iddio le creò, la bontà nel giovamento, ed utilità, che apportano.
Dimostrano questi tre attributi Divini tutte le
condizioni, e qualità, che ritroviamo nelle creature , come maravigliosamente
dichiara San Bonauentura nel suo viaggio della mente à Dio con queste parole: Dalle creature visibili s'inalza l'anima à
considerare la potenza, sapienza, e bontà del suo Dio. Per via più ampliare
quella considerazione si possono considerare nelle creature sette condizioni, ò
circostanze delle Divrne perfezioni: La prima delle predette attestazioni è se,
si considera, l'origine di tutte le cose, in quanto tutte le creature hanno il
loro principio da Dio, ed in ciò si considera la loro creazione, distintione,
ed ornamento, co'quali furono create. Ritrovaremo in questo la potenza di Dio,
che produce tutte queste cose dal niente, la sapienza, con la quale si
idoneamente le distinse, o dispose; la bontà que si ponga mente alla molta
liberalità con la quale Dio le adornò di perfezionim, e di virtù.
La seconda è la grandezza
delle cose, e specialmente di alcune, e quella puoi considerar in due maniere,
ò secondo la quantità di lunghezza, e profondità di alcune creature, ò secondo
l'eccellenza della virtù, la quale è tanto grande, che si estende à molta
distanza, ed ampiezza, e profondità, come si scorge all'esteriore nella luce,
la quale si diffonde, e dirama con tanta pienezza per il Mondo; e
nell'efficacia della Virtù ed operazione del fuoco. Né può dubitarsi, che
questa grandezza sì di quantità, come di virtù, chiaramente dimostri
l’immensità del potere, della bontà, e sapienza di Dio
La terzaè la gran moltitudine
e varietà di cose tanto diverse nel genere, nelle specio, e negl’individui,
nella sostanza, nella forma, ò figura, nella loro virtù, ed efficacia, qual
sopraeccede ogni humana estimazione, onde manifestano l’immensità di questi tre
attributi di Dio bontà, sapienza, e potere.
La quarta è la bellezza
delle cose create, ove si consideri la varietà degl’huomini, delle figure,
de’colori ne'corpi semplici, midti, e dpecialmente de'corpi celesti, e
de’minerali, quali sono le pietre, i metalli, ie piante, gl’animali: e tutti
questi eziandio sono una chiara testimomanza de’ tre sopradetti attributi.
La quinta è la pienezza con
la quale Dio hà ricolmato tutte queste cose, avvengache questa eziandio
chiaramente dimostra il medesimo: impercioche la materia è ripiena di forme,
secondo la sua capacità, la forma è
abbondantemente proveduta di virtù, qual'è corrispondente alla potenza attiva,
qual'ella tiene per oprare, la virtù è piena d'effetti, oue si consideri
l’eccelenza, che in sé racchiudono.
La sesta è l'operazione,
cioè la varietà delle azzioni, qual Dio hà communicate alle creature, attosoche
in esse si ritruovano operazioni naturali, artificiali, e morali, e tutta questa
gran moltitudine, e varietà d'operarzioni derivano da quella immensa virtù di
Dio, da quell'arte, e bontà, la quale è principio di tutte le cose di quell'essere
, che hanno, ed il medesimo si dice dell'intendere, e dell'ordine, e regola del
vivere.
La settima, ed ultima è l’ordine
maraviglioso con il quale Dio dispose tutte le creature feconda la varietà
della durazione, situazione, ed influenze, e per ciò dee sapersi, ch'egli
volle, che alcune durassero più, altre
meno, alcune fossero collocate in luogo superiore, altre nell'inferiore, e
finalmente, che alchune fossero più ed altre meno nobili. E tutto ciò manifestamente
dimostra l’immensa grandeza della bontà, sapienza, e potere del Facitore, ed Autore
di tutte le cose create.
Ma se vuolessimo raccogliere in breve quello hà
detto S. Bonaventura potriamo facilmente, dicendo discuoprirsi, e manifestarsi la
potenza del Creatore dalla moltitudine, e quantità delle cose create, la sapienza,
e l'ordine dalla varietà delle specie, e delle qualità delle cose create, la
bontà dall'utilità, e giovamento. Per il che chi vuole da dovero esercitarsi
nella Presenza di Dio, deve procurare di trovar Dio in tutte queste creature.
Quello è un modo facile, e soave di ritrovar Dio, e mentre si considerano le
cose da noi già dette deve ciascheduno dire dentro di sé medesimo: O quanto
potente, o quanto gran Signore è quegli, che hà create tante, e sì smisurate
creature, ò quanto bello, e soave, poiche ne hà prodotte altre tanto leggiadre,
e dolci, ò quanto buono è liberale poiché tutto questo l’hà fatto per mio
amore, e servizio. Cieco è senza dubbio quegli, che in tanti splendori delle
creature, ne'quali traluce Dio, non vede il medesimo Dio nelle creature. Sordo
è parimente quello che con tante voci non si desta. Muto finalmente è quello,
che vedendo opere si maravigliose di Dio, continuamente non lo loda , e
benedice. Esclama per ciò egregiamente S. Bonaventura: Chi dunque con tanti splendori
delle Creature non è illuminato, è cieco, chi à tanti clamori non si sveglia, sordo,
chi per tutti questi non loda Dio, è muto, chi fra tanti indizi non scorge il
primo Principio, è stolto. Apri dunque gl'occhi, ed applica le spirituali.
orecchie, sciogli le tue labbra, attendi con il tuo cuore per vedere il tuo Dio
in tutte le creature, per ascoltarlo, lodarlo, amarlo, adorarlo, magnificarlo,
honorarlo, accioche tutto il Mondo non si levi contro di té. Imperoche non per
altra ragione combatterà il Mondo
contro tutti gl'insensati: e per il contrario a'Savi, servirà per materia di gloria, potendo essi dire
con il Profeta: Tu Signore mi hai dilettato nella tua creatura, e nell'opere
delle tue mani; io giubilarò. Oh quanto sono magnifiche l'opere tue Signore, tu
hai, fatte tutte le cose con sapienza, e tutta la terra è ripiena del tuo dominio.
Dal detto parimente potremo raccogliere quanto
grande sia la perfzzione di Dio, avvengache se Dio communicò a tutte le
creature di questo Mondo la perfezzione, che hanno, siegue che in altra molto
più sublime maniera si ritrovi in Dio. In lui si ritrovano tutte le perfezioni
degl'Angeli, la grandezza d’Cieli, lo splendore del Sole, della Luna, e delle
stelle, la virtù de'Pianeti, la bellezza de'campi, la vaghezza de'fiori, la
frescura delle valli, la limpidezza de'fonti, la dolcezza de'sapori, la soavità
degl’odori, la sapienza de’Savi, la fortezza de'forti, e la Santità di tutti i
Santi. Qiudi avviene, che goderà di tutte queste cose, chi goderà di Dio, ed in
esso le vederà molto più perfettamente, che se le vedesse in sé medesime.
Quindi è parimente, che se sono tanto amabili le
perfezzioni delle cose create, quanto più lo sarà quella del medesimo Dio, in
cui si contengono tutte queste perfezzioni con vantaggio infinitamente
maggiore. Amiamo dunque Dio se non quanto egli merita, almeno quanto à noi in questa vita è possibile. Amiamolo con tutto il nostro
cuore, con tutta l'anima vostra, e coll'estremo di tutte le nostre forze;
esclamiamo a lui dicendo; O dolcissimo sopra
tutte le dolcezze delle creature, benignissimo, amantissimo, soavissimo, amabilissimo,
clementissimo, altissimo, ammirabile, ineffabile, incomparabile, potente,
magnifico, grande, incomprensibile, immenso, onnipotente, tutto pietoso, e
tutto amoroso, più dolce, che il miele , più bianco, che la neve, più dilettevole,
che tutte le delizie, più soave, che tutti i liquori, più prezioso, che l'oro,
o le pietre preziosissime. Tacciano, tacciano tutte le perfezzioni delle creature
al vostro paragone. Dio mio, vita mia, unica speranza mia, e tutto amabile, tutto
dolce, tutto dilettevole, datemi grazia, Signore, che io miri solo voi, che in voi
mi rallegri, che in voi solo mi riposi, e che essendo salito à voi per questa
scala delle creature dimenticato di loro, mi rimanga tutto assorto, ed unito
con voi, quì per Grazia, e dipoi per Gloria!
CAPO VI
Della Presenza di Dio immaginaria
L’Apostolo S. Paolo com'era tanto innamorato di Christo così volendo persuadere,
ed indurre i Fedeli à questo medesimo amore, li conseglia ad haver sempre
presente agl'occhi loro Christo Signor nostro, e per ciò gli dice: accioche Christo sia il tutto in tutte le cose.
Como se più chiaramente dicesse, che non vi debba essere alcun'affare né publico,
né privato, né di molto, né di poco rilievo, che in esso non habbiate Christo
presente. E sicome l'Apostolo lo consegliava agl'altri, lo eseguiva egli medesimo:
attesoche apertamente si raccoglie dalle sue lettere, haver egli sempre tenuto
Christo presente, i suoi pensieri non eran d'altro, che di Christo, i suoi desideri
di patire per dar à conoscer Giesù Christo: il suo amore l'haveva tanto trasformato
in Christo, che più le pareva, che vivesse in lui Christo, ch'egli in se
medesimo, e per ciò disse: Vivo io, e pur
non io, mi vive in me Christo. Ed ancorcho questa trasformazione non fosse reale,
era tuttavia tale secondo S. Tommaso, che l'amato qual'era Christo viveva
continuamente nell'amante , che era Paolo, e stava sempre presente alla sua
volontà, ed intelletto. Accadeva ciò di tal maniera, che Paolo, né voleva, né
intendeva, né sapeva altra cosa, che Christo: Io hò riputato (cosi egli) di
non saper altra cosa fra di voi, se non Giesù Christo. In solo Christo
occupava la sua memoria, solo in lui teneva posto tutto il suo cuore, e poiché
questi era picciolo quantunque fervorofo, ed ardente non poteva in quello
racchiudersi la grandezza, e maestà di Christo. Quindi avveniva gli traboccane
per la bocca quello, ch'egli sempre teneva presente nel cuore. Procurava
parimente col mezzo delle sue parole farlo presente a’cuori de’ Fedeli, e per
ciò diceva loro in poche parole un’assai profonda sentenza cioè: Che Christo
sia il tutto in tutte le cose, quasi più chiaramente dicesse: desidero, che
in tal modo siate uniti con Christo, che il medesimo Christo informi, ò
qualifichi tutte le vostre azzioni.
Quefta continua Presenza di Christo nella quale, come poc'anzi si disse, si
esercitava S. Paolo, è quella medesima, che à tutti communemente persuade. Laonde
sicome è certo, che la presenza di Christo nella quale si esercitava S. Paolo,
era imaginaria, peroche era di Christo Crocifisso, com'egli in più luoghi
afferma: così conviene, che in questo luogo si parli della presenza imaginaria
di Christo, e di questa prendiamo quì à trattare.
Per Presenza immaginaria intendiamo quella che senza dipendenza del senso
esterno formiamo coll'immaginazione, come quando dentro noi medesimi consideriamo
la figura di Cristo, come per esempio lo immaginiamo alla colonna, o crocifisso,
o in un altro simile passo della sua vita e passione. fione. Accade il medesimo
quando nella nostra imaginazione ci rappresentiamo un'altro Santo, ò vero le
pene dell'inferno. Noi però siamo per trattare solo della presenza imaginaria
di Christo. Utilissimo è questo modo della Presenza di Christo insegnatoci da S.
Paolo con la sua dottrina, ed esempio, come poc'anzi dicevamo. L'esercitarono
parimente molti altri Santi, come la Maddalena, S. Bernardo, S. Francesco,
S.Bonaventura, ed avanti di loro S. Paolo, guai dice nella sua lettera agi' hebrei:
Ripensate à quello, il quale tollerò una
tal contradizione da’ peccatori contro sé medesimo.
Disse altresì Seneca giovar molto all’huomo accioche viva honestamente,
come deve, l'imaginarsi , che sia presente à tutte lesfue azzioni qualche huomo
di grande autorità, ed estimazione, qual sarebbe un Catone,un Lelio: hor,
quanto più sarà giovevole l’immaginarsi d'haver presente Christo, e ch'egli ci stà
mirando.E se bene è vero non esser Christo realmente presente alla nostra
imaginazione, avvengache sappiamo di Fede esser la sua Santissima humanità in Cielo,
e nel Santissimo Sagramento, e non altrove: tuttavia questa imaginazione è
grandemente pia, e profittevole. Imperoche se la presenza imaginaria di alcuna
persona molto amata, quantunque sia assente cagiona molti effetti, ed affetti
d'amore, di dolore, di grata corrispondenza, ò pure d'odio secondo la materia
alla quale pensiamo, quanto maggiori saranno i prodotti dalla presenza imaginaria
di Christo, peroehe se bene non e realmente presente la persona di Christo in
quanto huomo, è nondimeno dentro di noi la persona di Christo in quanto Dio, cioè
il Verbo Divino, e questi senza dubbio concorre con grande efficacia ad aiutare
quelli, che bramano haverlo presente in quanto è unito alla sua santissima Humanità,
che stà in Cielo. Si avverta nondimeno poter esser pericolosa questa presenza imaginaria
à quelli, che vogliono con gran forza della testa dipingere molto
particolarmente l’imagne e figura di Christo, come se realmente la vedessero. Questo
è un modo, che non solo à molti hà danneggiato alla salute, mà eziandio al
giudizio, lasciandogli con questa vehemente apprensione lesa l'imaginazione. Si
ritrovano altresì alcune persone, che tengano tal sorte d’imaginazine, che se
bene molto si sforzano non possono dentro di loro formarli figura, ò imagine,
onde si ricordano di quella, come in confuso.
Poniamo un esempio. Uno sposo sta assente dalla sua sposa da lui
teneramente amata; hor se bene non puole distintamente esprimere
nell'immaginazione il suo semblante, si ricorda nondimeno l’esser molto bella,
di buona condizione e adorna delle tali e tali grazie e virtù. Tutto ciò egli
tiene come habitualmente presente nella sua immaginazione e memoria e però gl’avviene
ricordarsi della sua sposa, o l'amico del suo amico, senza formare
distintamente il suo volto e l'immagine del suo corpo. In somigliante manera
potremo soavmente conservare la Presenza di Cristo immaginaria ricordandoci ch’è
bellissimo, del suo dolcissimo tratto e ch’egli è amoroso e di soavissima
condizione, ch’ è huomo e Dio e quello che in quanto huomo fece e patì per noi,
quanto egli sia adorno di tutte le virtù sopra tutti gl’huomini, procurando più
di esercitarci in ardentemente amarlo, che in dipingerlo e delinearlo con distinzione,
e particolarità.
A questa imagine habbiamo da procurare, e di rimirar in turt'i luoghi, in
tutt'i tempi, ed in tutte le nostre azzioni, di tal maniera,che Christo sia il
tutto in tutte le cose, come ci disse l'Apostolo, e di ciò discorrendo il divoto
Ludovico Blosio dice: Intingi tutti i
bocconi di pane nel sangue, che si versa dalle sue preziose piaghe; se bevi
habbi presente la bevanda, che diedero à Christo nella croce, quando ci poni à
dormire, ricordati del letto qual hebbe Christo nella Croce; se ti duole il
capo riguarda la corona di spine di Christo, se la mano, ò i piedi, ò il fianco
de’ suoi chiodi, della sua lancia.
Vi sono alcuni che si rappresentano Cristo dentro di loro, altri dappresso
a loro, altri di lontano, e in quel modo che andava nel Mondo, considerando
tutte le sue azzioni e il modo con col quale le faceva, come camminava per le
strade di Gerusalemme, e l'accompagnano quando portava la Croce fino al Calvario,
dove si riposano considerando quello che fece e patì sulla Croce per nostro
amore. Loda questo modo di Presenza di Christo S. Bottaventura dicendo: Poniti auanti gl'occhi della mente le cose
fatte, e dette da Christo, ed imaginati di conversar feco, ed essergli
familiare. Imperoche questo cagiona maggior dolcezza, e divozione più efficace,
ed in questo consiste quasi tutto il frutto delle meditazioni. Siche in ogni
luogo, e sempre divotamente lo miri occupato in alcuna delle sue azzioni, come
quando stà in compagnia de'suoi discepoli, ò de’peccatori. Quando eziandio gli
parla, quando predica alle turbe, quando cammina; quando sede , quando dorme, o
quando veglia, quando mangià, e quando serve à quei, che mangiano, quando
risana gl'infermi, ed opera altri miracoli. In tutte le predette, e somiglianti
cose considera tutt'i suoi portamenti, e specialmente devi contemplare il suo
viso, ed à me pare difficile, che possi imaginarti cosa la quale superi le
addotte, etc. Tutti quelli modi di Presenza di Christo sono buoni, e da’
medesimi potrà ciascheduno scorgere qual sia quello, che lo muove à maggior divozione.
Solo si averta, che quelli quali vanno per questo cammino devono prender la
mattina quella presenza di Christo, che più li muove, o procurare di conservarla
per tutto il giorno.
Fra gl’addotti modi di presenza di Christo i due primi paiono più giovevoli.
E se bene l’haver Christo presente deve esser commane à tutti questi, che bramano
approfittarsi, tuttavolta nel modo di trattare, e conversare con Christo deve essere
differente secondo i differenti gradi della perfezione di quelli, che esercitano
la presenza di Christo. Imperoche i principianti non ancora del tutto purificati
da'Ioro peccati devono star in presenza di Christo à somiglianza del Publicano,
senza haver ardimento di alzar gl'occhi à mirar la faccia di Christo. mà prostrati
à’suoi piedi con la Maddalena gli domandaranno con gemiti, e lagrime perdono de
loro peccati. I proficienti potranno poco più inalzarti, e come domandando la
mano à Christo appoggiandosi sopra di lei amorosamente baciarla, riconoscendo i
benefici, che hanno ricevuti dalla liberalissima mano di Giesù Christo, e singolarmente
quello della sua Redenzione. Mirarà parimente con attenzione la vita di Christo,
i dolori, e tormenti, che per lui hà patiti, e ponderarà le sue virtù per
imitarle. I perfetti a’quali l’amore dà maggior adito con santa audacia
inalzati dall'impeto dell'amore potranno supplicarlo con la sposa del bacio
della sua bocca, qual’è l'intima uinone per trasformazione con Christo. Queste
tre mansioni, e baci distinse maravigloosamente S. Bernardo, qual’eziandio
tratta, come Christo habbia pascolo sì per i perfetti, come per gl'imperfetti.
Per tutti egli hà soavissime mansioni e riposi nelle sue preziose piaghe
così per i principiatiti, come per i perfetti. Per ciò S. Bernardo doppo di haver
trattato dell'ultima contemplazione della Divinità discende alla dolce
meditazione delle piaghe del nostro Salvatore, e dice così: Quegli, che non potrà salire à questo alto grado
di contemplazione ponga d'avanti a'suoi occhi Christo Crocifisso, sccioche senza
travaglio dimori nell’aperture della pietra, che sono le sue piaghe, dove non
si affaticarà, ivi i fiumi, fino à tanto, che vada crescendo, e possa, e sappia
entrare per queste caverne della pietra all’interiore della Divinità. Di
questa dolce mansione, e habitazione tratta parimente Hugone di S. Vittore con
queste parole: Ritrovano i peccatori, ed
imperfetti un sicuro, e fermo riposo nelle piaghe del Salvatore: io in esse
habito con sicurezza, e per le piaghe mi si manisestano le viscere. Tutto
quello, che dal mio lato mi manca io lo prendo dalle viscere del mio Signore,
imperoche abbondano di misericordia, né mancano l’aperture, per le quali si versino.
Per le aperture del corpo mi si manifesta il segreto del cuore, mi si dimostra
un gran Sagramento di pietà, mi si palesano le viscere della misericordia del nostro
Dio, e nelle quali egli ci visitò nascendo dall'alto. » Le piaghe di Christo
Giesù sono piene di misericordia, piene di pietà, piene di dolcezza, ed amore.
Trapassarono le sue. mani, e i piedi, ed aprirono il suo Costato, ci e stata
data una copiosa redenzione nelle piaghe del nostro Salvatore, una
grand’abbondanza di dolcezza, una pienezza di Grazia, e perfezzione delle virtù.
Tutto ciò dice Hugone, e poi siegue più oltre dichiarando i beni, che apporta ad
ua'anima l'esercizio in questa presenza, ed orazione delle piaghe di Christo, e
parlando per esperienza di quello, che in sé medesimo sentiva, dice così: Quando mi molesta qualche dishonesto pensiero
ricorro alle piaghe di Christo, quando mi aggrava la mia carne, risorgo con la
ricordanza delle piaghe del mio Signore: quando il Demonio mi tende indidio, corro
alle viscere del mio Signore e si parte da. me. Se l'ardore della libidine
accende le mie membra, con la memoria delle piaghe del Figlio di Dio si
estingue. In tutte le avversità non hò ritrovato più efficace rimedio delle
piaghe di Christo. In queste sicuro mi addormento, ed intrepido riposo. Christo
è morto per noi. dunque nessuna cosa può esser tanto mortifera, la quale con la
morte di Christo non possiamo evitare. Tutta la mia speranza è riposta
nella morte del mio Signore, la sua
morte è il mio merito, il mio refrigerio, la salute, vita, e resurezzione mia.
Questi sono i soavissimi frutti, che gustano l'anime, che fanno dimorare
nell'apertura di questa pietra: nondimeno quelli, che fanno penetrare più à
dentro,ed entrare per la porta del costato dell'intimo del cuore di Christo,
questi sono quelli, che abbondantissimmente godono dell'ineffabile soavitaà, e fruttti
della Croce di Christo; ivi si apprende la Verità nel suo proprio fonte, e nella
sua sorgente la soavità, e dolcezza, dell'amore, che Christo ci portò; ivi come
nella sua propria radice, o principio si conosce la perfezione delle virtù. Questo
è il gabinetto e talamo, in cui lo Sposo si unisce alla Sposa, lì dentro al suo
cuore gli parla al cuore, e di due cuori se ne fà uno, e perdendo quella il suo
cuore trova, che in sua vece hà quello di Christo: O cuore felice (dice S. Bonaveutura) che in tal guisa e dolcemente unito a quello di Christo, che la sua
sinistra sia sotto il suo capo, e con la destra l'abbracci. All'hora si, che
assaì bene lo sposo si riposa con la sposa: Mà io ti priego, ò anima, ridimmi
la dolceaza, che senti, di grazia – non mi occultare le delizie delle quali con
il tuo sposo Christo abbondi. Mà io ben m'avvedo, che tù non mi ascolti atteso,
che il tuo cuore pieno di dolcezza è assorto. Conchiude finalmente il Santo
con quelle parole: Che se haverai con
molta ponderazione meditata la sua Pasione, e sarai entrato molto à dentro al
suo costato, giongerai senza dubbio al suo cuore: mà chiunque vorrà entrare
alla quiete, e dolcezza della contemplazione, e non per la porta del Costato di
Christo si stimi ladro e ladrone.
Pongali quì mente, che non basta mirar Christo presente, mà giova molto il
confidente, che il medesimo Christo ci stà mirando, e ripetere molte volte dentro
di noi con profonda attenzione: Avverti, che Christo ti mira. Consideralo molto
spesso, come Padre, Maestro, e testimonio di tutte l'opere tue, e pendieri, in
guisa tale, che, né pure il minimo gli sia celato. I suoi occhi, dice S. Giovanni,
sono come. fiamma di fuoco, ed avverti Riccardo haverli paraggonati alll fiamma
del fuoco, peroche mirando i suoi eletti li illumina con la luce della sapicnza
e li riscalda coll'amor. della giustizia. Questo mirare , ed esser mirato da
Christo è una vita reciproca, ed amorosa, la quale cagiona nell'anima mille
influenze di buoni desideri, di piacere al medesimo Christo, di una gran circospezzione,
ed attenzione all'opere, che facciamo, a'pensieri, che habbiamo, accioche si
proceda in tutto con rettitudine, e purità. Questo parimente è l'habirar Christo
ne’cuori nostri per fede, e per amore, come divotamente dichiara Tommaso de
Kempis nel libro della disciplina claustrale con queste parole: Impara, ò huomo, di ridurre, ed ordinare
tutti i tuoi efercizi all'amore, ed honore di Christo: Miralo, come presente in
ogni luogo, e tempo, e per ciò con molta riverenza, e divozione quando si
proferisce, ed ascolti il dolcissimo nome di Giesù, inchina il capo, e piega le ginocchia, e con tutti gl’Angelii, ed Archangeli, con tutta la
moltitudine de’ Santi adora, benedici, ed in loro compagnia loda la sua Maestà,
e Divinità. E questo è l'habitar
Christo per fede, ed amore nel tuo cuore, cioè il giamai divertire gl'occhi della mente dalla sua imagine, aspirar sempre
à far quello, die gli piace, e non anteporre cosa alcuna al suo amore: anzi
tutto quello, che di buono ascolterai, ò leggerai, ò operarai in lui totalmente
ridurlo. Imperpche, egli è il fonte della vita, della sapienza, de'buoni
documenti. Appress di lui non si perde né puro un minimo pensiero qual di lui
si ricordi, né sarà infruttuosa l'orazione, che à lui con gemito si faccia.
CAPO VII.
Della Presenza di Dio intellettuale con la quale miriamo Dio internamente presente à tutte le Creature.
Si riferisce negl’ Atti Apostolici, che predicando S. Paolo agi'Ateniesi, e
volendo dar loro à conoscere Dio, riprese la loro ignoranza con le seguenti parole.
Egli, cioè Dio, non è distante da ciascheduno di noi, peroche in lui habbiamo
l'essere, viviamo, e ci moviamo. Quali volesse dire: grande senza dubbio è la
vostra sciocchezza mentre essendo à voi Dio tanto intimamente predente, che in
lui viviamo, ci moviamo, ed habbiamo l'essere, con tutto ciò non lo conoscete.
Con le addotte parole dimodtra chiaramente l’Apostolo esser Dio presente à
tutte le cose, attesoche communica loro la vita, l’essere, ed il muovimento. Quindi
avviene esser proposizione di Fede quella afferisce ritrovarsi, e penetrare Dio
con la sua presenza in tutte le cose. E perciò parlando Geremia in persona del
medesimo Dio dice: Io riempio il Cielo, e
la terra. Non si ritrova cosa alcuna in Cielo, ò in terra, qual non sia
riempita, e penetrata dal medesimo Dio. Il Savio parimente dice, che lo Spirito
del Signore hà riempito il Mondo, ed altrove, che tutta la terra è ripiena della
gloria del Signore. Finalmente insegnandoci la Fede nel Simbolo di S. Atanasio,
che il Padre, Il Figliuolo, e lo Spirito Santo sono un Dio immenso, ne siegue
come certo di Fede egli essere intimamente in tutte le cose dando loro, e conservando
quell’essere, che hanno.
Hor quello che noi qui pretendiamo dichiarare è che il mirar Dio, come
intimamente presente in tutte le cose dandogli l'essere, che hanno e
conservandolo con la sua immensa virtù e potere, e con giusto titolo si chiama Presenza
intellettuale. Né questa è la medesima con la Presenza corporale della quale habbiamo
trattato nel Capo quarto, avvengache ivi parlassimo della Presenza di Dio qual
dobbiamo esercitare per mezzo de’benefìci, che riceviamo dalla sua mano e
mediante le sue creature. le fue creature. Laonde si disse, che salendo per i
predetti benefici corporali, come per una scala, giongessimo à Dio, che stà racchiuso
nelle medesime creature, e con ciò Io riconoscessimo autore di tutti qust’benefici,
che dalle creature riceviamo. Sì, che quando il fuoco ci scalda dobbiamo considerare,
che più ci riscaldi Dio, essendo che quel calore più si origina dalla mano di
Dio, che da quella creatura, riscaldando questa per havergli Dio communicata la
virtù di produrre il calore.
Quella però di cui hora prendiamo a trattare è Presenza di Dio
intellettuale essendo fondata nella Fede, attesoche con l'occhio della Fede miriamo
Dio che con la sua immensità riempie l'universo e si ritrova intimamente in
tutte le creature dandogli quell'essere, che hanno.
Quella prima Presenza si chiama corporale perché si fonda nei sensi corporali
e in quel modo di presenza ascendiamo dalla creatura a cercar Dio come
universale benefattore di tutto quello che riceviamo dalle creature; ma nel
modo di questa Presenza di Dio non ascendiamo per la vista, né per gl’effetti
visti nelle creature à Dio; anzi fissando gl’occhi della Fede immediatamente
nell'immensità di Dio discendiamo alla creatura, riconoscendo che Dio a cagione
della sua immensità riempie, penetra e conserva tutte le creature e tutte loro sono
come immerse e penetrate dal medesimo Dìo. E il mirare Dìo in questa manera si
chiama propriamente Presenza di Dio intellettuale.
Questo modo di star Dio presente in tutte le creature ed insieme l'essere
tutte penetrate da Dio illustrò S. Agostino con un mirabile somiglianza: Lo
proponeva alla Presenza del mio spirito l'università delle creature e ne feci
una gran massa finita però e distinta in più generi: e te, o Signore, che da
ogni parte la circondavi e penetravi, ma ti considerano in ogni maniera
infinito, in quel modo come se si desse un mare, qual fosse in ogni luogo e da
ogni lato e per spazi immensi infinito e perciò fosse rutto mare, e havesse
dentro di sé una sponga in qualsiasi modo grande, finita però e questa sponga
fosse da ogni sua parte piena di quell'immenso mare. Così io mi figuravo la tua
creatura finita e ripiena di te infinito e dicevo: Ecco Dio ed ecco quelle cose
che ha create Dio, ed ecco in che modo le circonda e penetra[3].
Coll'addotta comparazione di S. Agostino d'una sponga posta in mezzo d'un
mare immenso, e che è tutta penetrata, ed immersa nell'acqua del medesimo mare,
si dichiara assai bene la Presenza di Dio della quale siamo à trattare. Imperoche
in quella maniera, nella quale il mare stà dentro, e fuori di quella sponga, circondandola,
e penetrandola tutta coll’acqua, in somigliante modo stà la creatura tutta immersa,
e penetrata in Dio: Dio stà tutto dentro di lei, Dio parimente tutto fuori di
lei: tutto Dio nel suo alto; tutto Dio nel suo basso: tutto Dio nel suo ambito.
In questo modo dobbiamo mirare Dio presente non solo nell’altre creature, ma parimente
in noi medesimi, mirandoci, e considerandoci tutti immersi e penetrati da
questa immensità del nostro Dio, il quale è più intimamente presente a noi che
noi medesimi non siamo presenti a noi stessi: tutti circondati da Dio, tutti
penetrati da Dio, tutto Dio fuori ed in qualsivoglia parte Dio. Consiste questa
manera di Presenza di Dio nel mirare con gl’occhi dell'intelletto, illuminato
con il lume della Fede, Dio come sia presente à tutte le cose. Questa Presenza
di Dio doveva sperimentare quel Santo Padre dell'Eremo, di cui sì legge nelle Vite
de’Padri che uscendo molto infervorato dall'orazione si abbracciava con tanto
godimento con i tronchi degl’alberi, come se si fosse abbracciato col medesimo
Dio. Questo modo di stare Dio nelle creature lo chiamano i Teologi star Dio in
esse per essenza, presenza e potenza.
Il riempir Dio con la sua presenza tutte le cose è dichiarato assai bene
dal Beato Lorenzo Giustiniano dicendo nel “Libro del legno della Vita”: Dio è di tanta eccellenza, e di così
precelsa immensità, che riempie tutte le cose, tutte le stringe, tutte
l'abbraccia, tutte le sopravanza, le sostiene tutte, ne solo da una parte le
sostiene, e dall’altra le sopravanza, ne da una parte l’empie, e dall'altra
l'abbraccia, mà con abbracciarle d'ogn’ intorno le riempie, e con empirle, da
ogni lato le abbraccia, nel sostenerle le sopr'avanza, e sopr’avanzandole le sostiene:
senza inquietudine regge il di sopra, senza stancarsi sostiene il di sotto, penetra
l'intimo senza estenuarsi, e circonda, all’esterno senza, stendersi.
Prima del B. Lorenzo Giustiniano dipinse assai bene questa immensità di Dio
S. Gregorio con le segucnti parole: Così
dunque Dio circonda le code esteriori, che nell'intimo le riempie in tal guisa
riempie l'intimo, che lo circondi all'esterno: di tal maniera, regge le cose
superiori, che non trascuri l'infime, e così è presente alle più basse, che
dalle superiori non si dilonga: in tal modo è occulto in sè medesimo, che
apparisce nella sua operazione: così si conosce nell'opere sue, che tuttavia
non si può comprendere dall'intendimento di chi lo conosce: di tal sorte e
prefetto, che non può esser veduto; ed in fine, così non può esser veduto, che
nondimeno attestano i suoi giudizi; la sua prefenza.
Vi sono molte maniere di mirar Dio presente in tutte le cose, e specialmente
potiamo mirarlo com'egli stia nel Cielo, dove discuopre Dio la sua Maestà, e
communica le sue ricchezze a' Beati. Quegli è il palazzo Reale qual hà Dio deputato
per trattare à faccia à faccia co'suoi amici, ivi è dove splendidamente li
banchetta, e facendogli mangiare alla messa di Dio, mangiano di qell’istesso di
cui Dio si ciba.
Questo modo d’inalzar la mente a Dio considerandolo com’e gli stia nel Cielo
e molto giovevole, e può esser in due maniere: La prima è mirando il Cielo
adorno di tanta varietà, e bellezza di stelle,
e per esse investigando l'Autore, e Creatore di questa nobilissima creatura, ed
insieme raccogliendo quanto sia maggiore la bellezza, e la gloria del suo Creatore.
Frà tutte le Creature non ve n’è alcuna la quale tanto manifesti la bontà,
sapienza, e onnipotenza di Dio, quanto il Cielo, e per ciò con raggione disse
David: I Cieli promuulgano la gloria di
Dio. Come se dicess, che i Cieli con la loro grandezza, movimento, e
bellezza sono i più grandi testimoni della gloria di Dio, e quelli che più chiaramante
danno à conoscere l’immensità e ricchezza del loro Fattore. Quando vediamo un'huomo
pomposamente adornato, e vestito ed arricchito con una catena d'oro, e con altre
pietre preziose d’inestimable valore, se per avventura ci dicono star egli al servizio
di qualche gran personaggio, dal quale habbia ricevute e quelle vesti, e gioie,
subitto veniamo in cognizione della ricchezza, e grandezza del suo Signiore, e
con ragione potiamo dire, che quel servo honora il suo Padrone peroche fà conoscere
il suo potere, e grandezza. Né altro volle dire David in quelle parole: I Cieli predicano la gloria di Dio, cioè
souo come Paggi di torcie, quali con la loro luce c'illuminano, perche conosciamo
il Signore, che vanno manifestando.
Vi è un'altro modo di mirar Dio presente nel Cielo, non già, perche stà Dio
in esso per la sua immensità, come in tutte l'altre creature, mà perche stà nel
Cielo come in suo trono circondato da tutti que’suoi celestiali spiriti a’quali
si manifesta e discuopre, come a'domestici, e familiari amici. Hor questo modo
d’orazione: ci viene frequentemente insegnato dalla Sagra Scrittura, onda disse
David: A te, ò Signore, che habiti ne’
Cieli hò sollevati i miei occhi. Del medesimo trattando S. Bernardo dice: Se ben'è vero. che Dio si ritruova in ogni
luogo, deve nondimeno esser pregato, come in Cielo e nel tempo dell’orazione
dobbiamo imaginarecelo, come stando ivi: in guisa tale, che la nostra mente non
sia ritenuta né dal tetto dell'oratorio, né dallo spazio dell'aria, ne dalla
densità delle, nuvole, mà secondo il modo insegnatoci da Chrifto, quando disse:
così preagarete: Padre nostro, che sei ne’Cieli: attesoche il Cielo per una special
prerogativa si chiama sede, e trono di Dio: essendo che à paragone del modo,
col quale gl'Angeli, i Santi, e l'anime degl'Eletti veggono Dio in Cielo, noi
miseri, e peregrini della terra appena ne habbiamo il nome.
Sta Dio in tutte le Creature, come dicono i Teologi, per illapso, cioè se deriva,
e penetra l'essenza di tutte le cose, ed è in esse più intimamente, ch'elle non
sono in sé medesime. Ne'Giusti Viatori, oltre il modo generale con il quale stà
in tutte le creature, vi risiede per Grazia, ne'Comprensori, e Beati vi è
altresì per Gloria, e finalmente parlando del Verbo Eterno egli è in Christo per
l'unione hipostatica. Mà ne’peccatori, e Demoni, se non (come parimente nell’altre
creature) per ragione della sua immensità, e per ciò dice Salomone, il Signor è distante degl’Empi. Se bene
in certa maniera può dirs, ch'egli vi sia per ira, per vendetta, come Giudice.
Ne’sagramenti vi è altresì secondo i vari modi di grazia sagramentale,
ma in quello dell'Eucaristia vi stà la Persona del Verbo e la Divinità per
concomitanza, secondo quanto dicono i Teologi. Stà ultimamente Dio in se
medesimo, come nel suo ultimo fine, essendo egli fine di sé medesimo, peroche
non è ordinato ad altro fine. Si dice parimente ch’egli sta in sé medesimo,
perche eternamente si riposa in se stesso senza appoggiarsi ad altra cosa, né
haver necessità di chi lo sostenti, né d’altro fine al quale sia ordinato.
Si dice che Dio stà in tutte le cose per essenza, presenza e potenza: Per
essenza, peroche essendo questa infinita ed illimitata si estende a tutte le
cose ed a tutte loro diede la natura e l'essere che hanno, ed inoltre da per se
stesso senza aiuto d’alcuna causa seconda le creò tutte. Si dice altresì
esservi per Potenza, perche tutte stanno soggette al suo Potere e con la sua
virtù le sostiene nel loro essere; per il che di tal modo dipendono da Dio
nella loro conservazione, che senza di lui non potriano per un momento avere
l'essere. Si dice finalmente esservi per presenza peroche veramente il medesimo
Dio è personalmente presente à tutte le cose e tutte sono presenti al medesimo
Dio e perciò disse l'Apostolo esser ogni
cosa manifiesta, e chiarimente palese a’ suoi occhi.
Per questo modo di Presenza di Dio, oltre il mirarlo come si è detto in tutte
le cose, si richiede accioché sia perfetto e come cosa più principale il
riflettere coll'occhio della Fede e con maggior cenezza all'essere noi guardati
dal medesimo Dio e ripetere spesso quello che disse Abramo nella Sagra Genesi.
Quivi si riferisce come, volendo egli sacrificare il suo Figlio Isaac, quando
già stava per dar il colpo, gli fù rittenuto dall'Angelo il coltello. Laonde
volgendosi indietro vidde un’Ariete, frà le spine, mandatogli da Dio, affinché
lo sacrificasse in cambio del Figlio. Il che havendo egli eseguito ciò, la Sagra
Scrittura, ch’egli chiamò quel luogo: Qui
vede il Signiore. Il medesimo dobbiamo considerare a nostro profitto, e
molto spesso, ed in ogni luogo ripetere queste parole: II Signore ci vede. Ponderiamo parimente molte volte star Dio
sempre mirandoci, e tenere i suoi sguardi fìssi nelle nostre azzioni, e per ciò
poniamo mente alla rettitudine, ed all'intenzione con la quale le compiamo: i
motivi e la radice dalla quale nascono, e se in esse cerchiamo puramente Dio, o
vero noi medemisimi.
Di tutto ciò sono giudici gl'occhi penetranti di Dio, come dinota, e
dottamente scrive con queste parole il P. S. Agostino: Certamente confesso, che
qualsivoglia cosa, che io faccia, la faccio alla tua presenza, e quel tutto,
che io faccio tu meglio lo vedi, che io, il quale lo faccio. ciò . Impercioche
à quanto si operar da me, tù gl’assisti presente; avvengache tù sei quello, che
riguarda i pensieri, l'intenzioni, i godimenti, e tutte l'opere mie. Signore
alla tua presenza stà sempre ogni mio desiderio, ed ogni mio pensiero. Tù vedi,
Signore, d'onde venga lo spirito, doue si ritrovi, e dove vada: attesoche tù pesi
tutti li spiriti: e conosci se la radice dalla quale al difuori germogliano le
belle frondi, sia dolce, ò vero amara. Tù giudice del interno meglio conosci, e
più sottilmente penetri le midolle delle radici. Ne solo vedi l'intenzione, mà
con la chiarissima verità della tua luce penetri all'intima midolla della
radice, la numeri, la consideri, la registri, per premiare ciascheduno non solamente
secondo le sue opere, ed intenzione, mà eziandio secondo la più nascosta
midolla della radice, dalla quale si origina l'intenzione dell'operante.
CAPO VIII
Della Presenza di Dio intellettuale con la quale miriamo Dio dentro noi medesimi
L’oltre adotto si trova un altro modo di Presenza di Dio intellettuale, qual’è
più perfetto, utile e giovevole di quello già riferito, benché non sia così
facile l'acquistarlo. Si fonda questo nel mirare Dio dentro noi medesimi, come
anima della nostra anima e spirito del nostro spirito, essere e vita della
nostra propria vita ed essere. Sino, che un'anima non gionge a discuoprire
questa Presenza di Dio in se stessa, può dire di non esser gionta a gustare Dio
nella sua scaturgine o per meglio dire in se medesima. Confessa di sé medesimo S.
Agostino, che cercava Dio per le piazze delle creature, e che non lo ritrovò,
se non quando venne a discoprirlo in se medesimo. Così egli altrove consiglia
dicendo: consiglia dicendo. Perche volendo
porger le tue suppliche à Dio vai cercando un luogo santo, ed idoneo? Purifica
il tuo inrerno, ed havendo discacciata ogni cattiva affezzione, apparecchialo à
te medesimo nella tua segreta pace. Volendo far orazione nel tempio, falla in
te stesso: si però sempre tempio di Dio, ch'egli ivi esaudisce, dove habita. Coll'istesso
sentimento disse S. Tommaso. E una gran
cecità, ed un’eccessiva sciocchezza di molti, peroche sempre cercano Dio
continuamente à Dio anelano, frequentemente lo desiderano, ogni giorno
nell'orazione à lui esclamano à lui picchiano, quando loro medesimi secondo le
parole del’Apostolo sono tempi di Dio vivo, e Dio veracemente habita in loro:
essendo l'anima loro sede di Dio.
Né altro per avventura è quello che diceva lo Sposa con quelle parole: Lo cercai per le piazze e non lo trovai;
e perciò lo supplica: con grande istanza, che gli dica dove sia il suo albergo,
ed il suo riposo: Mostrami dove ti pasci,
e dove ti riposi nel mezzo giorno, accioche io non vada smarrita seguendo la grege
de’ miei compagni. Come se più chiaramente dicesse: non permettere, o Sposo,
che io vagabonda vi vada cercando dietro le vestigie delle creature, attesoche
se bene io so che vi ritrovate in tutte loro, non posso tuttavia godervi ed
unirmi con voi con tutta quella pienezza che bramo; mostrami dunque, o Signore,
il luogo in cui pascoli, e regali l’anime; mostrami il talamo nel quale ti
riposi con esse ed esse teco: talamo collocato nel mezzo giorno, peroche in
esso ti godono con grande pienezza di luce e con grande ardore del sole di
mezzo giorno, qual siete voi medesimo. E pare che lo Sposo ascoltasse i clamori
della Sposa, peroche facendola entrare dentro sé medesima, gli mostrò il talamo
e la pascolò con dolcezza, l'abbracciò soavissimamente e con lo stretto vincolo
della Carità l'unì con se medesimo. Così lo confessa lei medesima seguendo à
dire: Mi introdusse nella cantina, ed
ordinò in me la Carità. Questa cantina, nella quale lo Sposo dà à bere
questo preziosissimo vino è il centro ed essenza dell'anima nostra, dove egli habita
come in casa propria, e dove introduce quelle sue spose, alle quali si discuopre,
e si manifesta in tal modo di tal maniera, che loro medesime esperimentano
dentro di sé la presenza, i baci, ed abbraccio del loro Sposo. Questo è il
supremo Cielo dell'anima nostra ed è come l'Empireo in cui Dìo risiede. .iiedc.-.
Così l'insegna S. Agostino didtinguendo nell'anima nostra tre Cieli, ò vogliam
dire regioni, e nel terzo, quale nobilissimo, dice haversi un conoscimento
intellettuale, ed altissimo di Dio. Di ciò in oltre si serve a spiegare il
rapimento di San Paolo fino al terzo cielo intendendo per questo terzo cielo
quella suprema parte dell'anima nella quale l'Apostolo vide Dio. Dal medesimo
cielo Dio invia alle regioni inferiori dell'anima le influenze di luce,
d'amore, di gloria, di soavità, di godimenti. Quivi è dove Dio si manifesta
all'anima, non già chiaramente come nella gloria, mà bensì esperimentalmente,
avvengache ivi l'unisce e stringe seco con un tanto stretto abbraccio d’amore,
che quantunque non veggaa chiaramente Dio, nondimeno non può dubitare che esser
questo l'abbraccio di Dio, quale ha dentro di sé presente. E pongasi mente che,
se bene non tutti quelli che entrano dentro se stessi giongano à gustare e a esperimentare
questo abbracciamento ed unione con Dio: tuttavolta appena potrà ritrovarsi alcuno,
il quale non esperimenti in qualche maniera Dio dentro l’anima sua, uno più ed
un’altro meno secondo la maggiore o minore purità di cuore di ciascheduno.
Hor prima di dichiarare il modo qual'habbiamo da usare per cercare, e ritrovare
Dio dentro di noi medesimi, sarà bene lo spiegare in qual maniera Dio stà dentro
l'anima nostra, e se vi sia alcun modo particolare di starvi, qual sia
differente da quello, con cui generalmenre si ritrova. in tutte le creature.
Non tratraremo qui del modo con il quale Dio stà nell'anima nostra mediante la
Grazia, essendo di Fede, che chiunque è in Grazia stà con Dio, e che Dio si communica
di nuovo all'anima la quale stà in Grazia; e perciò disse Christo: Noi verremo è lui e faremo in esso lui
nostra dimora. Ciò è tanto vero che, come insegna la buona Teologia, quando
anche Dio non fosse in noi medesimi per ragione della sua immensità, come si è
detto ritrovarsi in tutte le altre creature, nondimeno a causa della grazia venirebbe
di nuovo tutta la Santissima Trinità, non solo per effetto della medesima Grazia,
mà secondo ch’è in se stessa a dimorare ed habitare nell'anima del Giusto; e così
di fatto viene il medesimo Dio. Impercioche se bene egli prima vi stava come Autore
Naturale, viene dipoi per mezzo della Grazia come Autore soprannaturale, cioè
di tutti i beni soprannaturali. Questa formalità è bastevole, le accioche si
dica venir Dio di nuovo all'anima. Quindi avviene che sicome Dio, in quanto Autore
soprannaturale, è presente all'anima per mezzo della Grazia, così per il
peccato egli abbandona e si parte da lei.
Di questa presenza soprannaturale di Dio, non prendiamo qui a trattare, mà
bensì della presenza con la quale Dio stà in tutte le cose per ragione della
sua immensità: e questa presenza e penetrazione di Dio è tanto intrinseca ed
intima alla creatura che mai da lei si separa ed è comune alle cose animate ed
inanimate, ragionevoli e irragionevoli, giusti e peccatori. Per il che la presenza
della quale trattiamo è tale, che per essa Dio è tanto intimamente presente aL
Demonio, come al maggior Santo: del Cielo. Ma se bene Dio stà generalmente in
tutte le creature, come si è detto, tuttavia nell'huomo per essere creatura
ragionevole vi stà in modo particolare e diverso da quello con cui sta nelle
altre e ciò non è così facile à spiegarsi. Primieramente possiamo dire esser Dio
con un modo particolare nell’huomo, con il quale non è nell' altre creature,
peroche stà nell’huomo, come in suo tempio , nel quale vuol essere honorato, e
venerato. Quando Christo Redentor nostro, c'insegnò il modo di fare orazione disse
così: Padre nostro, che sei ne'Cieli;
dando ad intendere, che quantunque Dio stia universalmente in tutti luoghi, con
tutto ciò si dice particolarmente, ch’egli stia ne’cieli, peroche è il proprio luogo,
in cui Dio discuopre la sua Maestà, e gloria a’Beati, e li fà partecipi del suo
amore, e godimento. Non per altra cagione altresì molto spesso nella Sagra
Scrittura si dice, che Dio stà ne’cieli: A
te , che habiti ne’Cieli hò sollevati i miei occhi. Quello che habita ne'cieli
si riderà di loro. In modo somigliante si dice star Dio nell'anima del Giusto,
peroche ivi è dove manifesta le sue ricchezze; facendo i Giusiti partecipi della
sua Grazia , del suo amore, della sua luce. Questa è la cagione per la quale la
Sagra Scrittura chiama i Giusti Tempi di Dio, come lo dice l'Apostolo con
quelle parole: Non sapete forsi, che
siete tempio di Dio? E altrove: Il
tempio di Dio è Santo , e questo tempio siete voi. Questo è il primo modo
per dichiarare come Dio stia nell'anima ragionevole, tuttavia non è al
proposito, attesoche quello che pretendiamo sapere non è il modo col quale Dio
stia nell'anima de’Giusti, mentre già sappiamo essere particolare e molto distinto
dagl’altri modi, co’quali Dio stà così nelle altre creature, come negl’altri huomini,
che non sono Giusti. Domandiamo dunque quale sia il modo particolare con il
quale Dio, precisamente in vigore del la sua immensità, stà nell'huomo ed in che sia diverso da quello con cui stà
nelle altre creature.
A dichiarar ciò con un altro modo di dire più proprio, ed al proposito è
mestieri sapere esser Dio nell’altre creature come in suoi vestigi e pedate, mà
nell'huomo vi è più perfettamente cioè, come nella sua immagine. Se uno vedesse
l’orme e pedate d’un uomo conosceria quell'uomo. In tutte le creature Dio sta
come nelle suoi vestigi e pedate: nell'huomo però stà come nella sua immagine, né
solamente come nell'immagine che rappresenta, mà eziandio, che ha congionta con
che rappresenta e contiene la cosa che rappresenta. Dichiariamolo con un’esempio.
Si danno due sorti d’immagini, una qualle è fatta solamente per rappresentare,
un'altra che è formata non solo per rappresentare, ma per ricevere in sé la
cosa rappresentata. Se uno ha un Crocifisso di molto prezzo, per conservarlo,
fa una custodia in forma di Croce per collocarvi il Christo, questa custodia è
immagine ed insieme è come una cassa per ponervi dentro il Christo. Hor l'anima
nostra quanto al suo naturale è immagine di Dio come insegnano quelle parole
della Scrittura: Facciamo l'huomo ad
immagine e somiglianza nostra. Dicesi imagine, come spiega S. Gregorio Nisseno,
perche nell'huomo si dà mente, intelligenza, ed amore. O vero, come dichiara S.
Agostino, perché siamo, e conosciamo, che siamo ed amiamo il nostro essere; cose
tutte che si ritrovano in Dio; o come dicono comunemente i Santi, perche siamo
di propria condizione intellettuali ed immortali a somiglianza di Dio. Dicesi finalmente,
che l'huomo è immagine di Dio. perché, oltre le predette cose con le quali
rappresenta Dio, fu prodotto capace e con una capacità e potenza quasi infinita
per ricevere e ritenere dentro di sé il medesimo Dio: e così è fatta (come se
dicessimo) per custodia e cassa di Dio. Ciò volle significare S. Agostino
quando disse: Ci hai fatti Signore in ordine
à te ed è inquieto il nostro cuore fino a che non si riposi in te. non Eh
devesi specialmente riflettere à quelle parole Ci hai fatti Signore in ordine à te; peroche è come se diesse, ci
havete, Signore, creati imagine vostra, mà in tal sorte, che siamo imagine per
ricever voi dentro di noi: imagine con un’vacuo tanto grande, che non si può
riempire se no con la vostra grandezza: attesoche è un vacuo creato alla vostra
misura: per il che è sempre inquieto il noftro cuore fino à che veda pieni quest'immensi
suoi seni di voi. Questa imagine è quella nella quale Dio habita, e stà diversamente,
che nell'altre creature: peroche nell'anima stà, come in una casa e camera
fabricata così capace, e nobilmente, come si richiede per l’habitazione della Maestà
di Dio. Per ciò egli risiede, e dimora in essa molto differentemente, che nelle
altre creature. E prima perche l’altre creature non furono create con questa
capacità fatta ad immagine di Dio, onde non è Dio in esse, come è nell'huomo.
In oltre, vi è una grande differenza attesoche nell'anima Dio stà come un’essere
immenso qual tutta la riempie, e penetra, ch’è il modo con il quale stà in
tutte le creature, mà parimente vi stà come Autore e principio intellettuale
dell'operazione dell'huomo, ed in oltre, come fine di tutte. Imperoche, se bene
è vero che secondo questa considerazione della quale trattiamo, Dio non stà
nell'anima come Autore soprannaturale della Grazia, al nostro intento però
basta, ch’egli vi stia come Autore e principio naturale, il quale muove le creature
ragionevoli à vivere ed operare conforme alla legge naturale, e perché possa
conseguirlo come fine naturale, onde in questo medesimo ordine può l'huomo havere
l’infelicità naturale. Tanto volle dire il profeta Davide con quelle parole: Noi, Signore, siamo contrasegnati con la lume
della tua faccia. Con questo detto egli ci fa intendere che Dio stà nell’
anima nostra illuminandola ed inducendola ad operare secondo la luce naturale,
che non si trova nell’altre creature. Finalmente questo Dio, che stà
nell'anima, non solo vi stà, come Autore di tutto il bene naturale, mà
parimenti per quanto è dal suo lato, vi stà come principio soprannaturale
apparecchiato ad infondere nel l'anima l’influenze de’beni Divini e
soprannaturali e per manifestarsegli e discuoprirsegli quando sia disposta in
questa vita, secondo che la sua capacità lo permette, e nell'altra chiaramente
e per la comunicazione della sua gloria e beatitudine. ne. Questo volle dire
l'Apostolo con quelle parole: La futura gloria, che si svelarà in noi, eccede i
patimenti di questa vita presente. Dove pongasi mente al dir'egli, che la
gloria quale speriamo si hà da discuoprire in noi: attesoche questo Dio, che
habita nella creatura ragionevole toglierà all'hora il velo, e si palesarà quel
medesimo, che fino à quel tempo era stato celato nel centro dell'anima nostra,
dove dimora, come in casa propria: e quella manifestazione di Dio sarà il
principio, e fine della nostra gloria.
Da tutto il già detto s'intenderà il modo particolare , con il quale Dio
per ragione della sua immensità stà nell'anima nostra, e quanto sia differente
da quello, con cui stà nell'altre creature.
Rimane hora il dichiarare il modo qual dobbiamo tenere
per entrare dentro noi medesimi à cercar questo Dio principio, e fine di tutta
la nostra Beatitudine. Gioverà primariamente a questo fine concepire la verità
insegnataci dalla Fede, cioè stare Dio dentro di noi come Autore e principio
del nostro bene, attesoche egli stà nascosto dietro le mura de’nostri sensi, immaginazione
ed intelletto come disse la Sposa con quelle parole: Ecco ch’egli stà dietro il nostro muro; riguardando per le finestre, e
mirando per i cancelli. Quindi avviene esser mestieri rompere questo muro
posto frà l'anima nostra e Dio. A romperlo dobbiamo servirci delle saette
temperate nel fuoco quali sono le orazioni iaculatorie, gl’affetti e i vivi
desideri di Dio. Questo è il principale mezzo del quale si tratterà quando sì
spiegherà la Presenza di Dio affettiva.
CAPO IX
Della Presenza Sagramentale ed intellettuale di Christo nostro Redentore
Non habbiamo in questa vita prefente né più reale, né più certa presenza di
Christo Redentor nostro, che quella della sua Persona nel SS. Sagramento
dell'Altare. Le altre ò sono immaginarie - fondate nello; nostre pie
imaginazioni, e discorsi e per ciò accade alcuna volta, che qualche anima divota
habbia in questa vita qualche visione di Christo Signor nostro, come l'hanno havute
alcuni Santi, a'quali si è rappresentato, ò nella Croce, ò alla Colonna, ò vero
Risuscitato, ed in altre ben molte maniere, come leggiamo nelle sagre Historie.
Tuttavolta in nessuna di queste visioni goderono i Santi della real presenza di
Christo, ed al più fù un'Angelo, qual prendendo il semblante di Christo apparve
ad alcuni Santi. La ragione di questo è perche, come si raccoglie dalla Sagra
Scrittura, dipoi che Christo sali al Cielo non è mai disceso in terra, né lasciato
quel luogo, né vi discenderà fino al giorno del Giudizio, come assai
chiaramente lo dice S. Pietro, e noi distesamente l’habbiamo dimostrato nel
trattato dell’unione sopranaturale, e Diuina. Solo hà fatta questa grazia à tutta
la sua Chiesa, mentre ogni giorno non una, mà molte volte, ad essa discende nel
Santissimo Sagramento dell'altare per suo rimedio, e consolazione. In esso,
come la Fede insegna, stà egli realmente presente velato con quelle specie di
pane e di vino. Laonde in questo esilio la Chiesa gode del medesimo Cristo qual
è presente goduto e posseduto da’beati nel Cielo, dose lo dove lo vedono faccia
a faccia. Mà noi qui in terra per mezzo della Fede lo habbiamo presente, e
godiamo, velato però dalle specie Sagramentali. Da ciò siegue, che la Chiesa
Militante, non, si differentia dalla Trionfante, se non che in questa si fà svelatamente
vedere, come si mostra a'Beati; la dove la Militante lo mira coperto sotto le
cortine degl'accidenti. Per ciò essa si chiama Militante, avvengache vivendo in
continua guerra cogl’inimici, che la circondano, mangia di questo pane di vita
con sudore del suo volto, e di tutto il suo corpo, fino che gionga à goderlo
nella Gloria.
Questa Presenza di Christo qual'è un fauore tanto singolare fatto alla sua
Chiesa, già l'haveva Dio promessa nel Levitico, ove dice: Porrò il mio Tabernacolo in mezzo di voi, caminarò frà di voi, e sarò
vostro Dio. Per S. Matteo promette parimente il medesimo dicendo: Ecco , che io stò con voi tutti i giorni
fino alla fine del Mondo, ed in queste parole egli ci promette la sua vera,
e real prefenza. Può per tanto dire con molta ragione il Popolo Christiano quelle
parole del Deuteronomio: Non vi è nazione
tanto grande, quale habbia i dei vicini à sé, come il vostro Dio è dappresso
alle nostre preghiere.
L'esser venuto Christo Redentor nostro à vivere, e dimorare con noi è stato
tutto per nostro bene, e consolazione, e per il rimedio delle nostre miserie.
Ne si è appagato d'esserci presente nell'altare dove lo vediamo, e godiamo
fuori di noi cogl'occhi dell'anima, illuminati con la luce della Fede: mà eziandio per esserci intieramento presente, ed unito à noi con il mezzo della Communione Sagramentale, onde è cibo, e nodrimento dell'anime vostre. Tutte queste finezze fatteci da Christo, tutte sono
testimonianze del suo amore, ed ordinate à che lo teniamo sempre presente nella
nostra memoria, com’égli lo disse per S. Luca: Ogni qualvolta voi farete questo, lo farete per memoria di me. E S.
Paolo disse: Ogni qual volta mangiarete
questo pane, e beverete questo calice, annunciarete la morte del Signore, fino
à che egli venga. Come se dicesse io mi sono posto sotto queste specie
Sagramentali per bene, e rimedio vostro, e così voglio, che sempre habbiate presente
alla memoria questo singolar benefizio, che vi hò fatto. Questo medesimo. haveva
prima detto il Santo Rè David in quel versetto del Salmo: Quel Signore, ch’è misericordioso,
e che fà misercordie, ha fattu un
memoriale delle sue maraviglie, dando il cibo à quelli, che lo temono.
Questa Sagramental Presenza può in alcun senso chiamarsi corporale, avvengache
mirando con gl’occhi del corpo le specie sacramentali sopra l'Altare, subito ci
facciamo à vedere Christo con quelli dell'anima, stando egli velato con le
medesime specie. Può altresì chiamarsi presenza immaginaria per la ragione che
molti s'immaginano Christo tanto materialmente sotto quelle specie, che pensano
vi sia, come quando andava per il Mondo: tuttavia, parlando con ogni rigore
deve chiamarsi presenza intellettuale di Christo, attesoche mediante la Fede
miriamo Giesù Christo, Signor nostro, con gl’occhi dell'intelletto. secondo ch’egli
e velato da quelle specie Sagramentali e questo è un modo ineffabile, che solo
per la Fede può intendersi come sia.
Questa Sagramental Presenza è sopra modo giovevole ed aiuta quelli, che in
essa si esercitano a camminare a grandi passi all'unione e trasformazione in Christo,
dove consiste il sommo della perfezione Christiana. Tre sono i modi ne’quali
possiamo esercitarci in questa Divina presenza. Può chiamarsi la prima Sagramentale
e spirituale presenza di Christo, cioè quando senza vedere il Santissimo Sagramento
fissiamo in esso il nostro pensiero ed amore ed habbiamo una grande fame e desiderio
di riceverlo, e questa dal Concilio di Trento si chiama Comunione spirituale
per la quale dobbiamo apparecchiare e purificare l'anima nostra come se
realmente havessimo à riceverlo. Quando avviene, che stando noi in assenza di Christo
Sagramentato pensiamo à lui, ed al modo con cui stà nel Sagramentom ed
a'frutti, che per esso si communicano all'anime nostre, si chiama presenza Sagramentale.
Si come se uno si ritrovasse in terra di Mori, ò vero in alto mare dove non
vi è Sagramento, e pensasse nella Santissima Eucharistia, e si dilettasse delle
volte, nelle quali l'ha ricevuto, e ricordandosi dell'esperimentata dolcezza se
gl'eccitasse gran brama di riceverlo, questo tale haveria la presenza di Christo,
e potriamo chiamarla spirituale Sagramentale.
La seconda è Sagramentale reale, cioè quando habbiamo presente il
Santissimo Sacramento: e questa può essere in due maniere: una quando entriamo
in chiesa e vedendolo con gl’occhi corporali e considerandolo racchiuso nel Tabernacolo
dell'Altare lo veneriamo e adoriamo con somma humiltà e riverenza. Giova parimente
sopra modo questa presenza, fe noi sappiamo approfittarcene: mà se entriamo
nella Chiesa, come in un'albergo ordinario senza molto rispetto, ne considerazione,
senza dubbio rimarremo privi de'frutti di questa presenza ordinaria, come suole
accadere ad alcuni Sagrestani a'quali il molto uso di andar in Chiesa è cagione,
che perdono la riverenza, e la molta familiarità fà, che meno la rispettino. L'origine
di ciò è il mancar loro la viva Fede, la quale detta, e per così dire mostra à dito,
che il nostro gran Dio, qual riempie il Cielo, e la terra, con la medesima maestà,
con la quale stà nel Cielo, stà parimente ivi presente: e si come nel Cielo è
adorato, lodato, e glorificato da tutti que'Beati spiriti, che continuamente esclamano
Santo, Santo, Santo; senza, che la molta familiarità, e continuazione del suo
tratto, e vista, gli sia cagione di minor riverenza, ed amore, anzi se fosse possibile
più cresceriano in esso: nell'istesso modo quando noi entriamo in Chiesa
habbiamo da mirare con gl'occhi della Fede l'immensa Maestà di Dio, che stà ivi
presente nell'Altare, e cou una gran riverenza ed humiltà habbiamo a prostrarci
avanti a quel Rè de’ Regi e Signore de’ Signori, ad offrirgli sacrificio di
lode e di rendimenti di grazie e con gran fiducia domandargli misericordia per
la sua Chiesa e per l’anime nostre. Dobbiamo per tanto stare alla presenza del Santissimo
Sagramento di quel’istessa maniera con la quale stanno ivi presenti gl’Angeli,
i quali con profondissima humiltà gl’offrono Sacrificio di gloria e gloria,
come canta la Chiesa dicendo: Lo lodano gl’Angeli, l'adorano le Dominazioni,
tremano le Podestà e le virtù celesti co’Beati Serafini etc. Per il che è
mestieri imitare gl’Angeli, che stanno ivi presenti adorando Christo nel
Santissimo Sagramento ed unire con essi loro le nostre voci di lode e rendimenti
di grazie. Che se quando parliamo con un Principe lo facciamo con tanta humiltà
e riverenza, quanto è più giusto che lo facciamo quando parliamo con Dio e
stiamo alla sua presenza.
I due Tobia Padre, e Figlio quando ascoltarono l'Angelo, che disse loro: Io sono l’Angelo Rafaele uno di que’ sette,
che stiamo avanti il Signore, si turbarono, e tremando cadereno prostrati con
le loro faccie in terra: hor quanto sarà più giusto, che noi lo facciamo
ascoltando dire il medesimo Dio in questo Sagramento : Io sono il Pane vivo, che sono disceso dal Cielo? Come se dicesse:
io sono il medesimo pane, che mangiano gl'Angeli nel Cielo, cioè Dio.
La terza presenza di Christo in questo Sagramento è quando l'habbiamo
presente dentro noi medesimi ed è la maggior presenza, che possiamo
immaginarci. Sì grande come questa e la bontà e l'amore, che Dio ci porta, che
non si appaga, che lo vediamo presente, mà eziandio per via più dimostrarci le
viscere della sua misericordia si unisce ed intimamente si abbraccia con
l'anima nostra e trovandola disposta la trasforma tutta in sè medesima,
vestendola della medesima condizione del suo spirito, affinche tutta l'anima si
trasformi in Christo e sia partecipe della sua bontà, del suo amore, della sua
obbedienza, humiltà, fortezza e di tutte le altre virtù di Christo Signore
nostro. Signor noftro. Dice S. Giovanni Chrisostomo, che quando ci
communichiamo habbiamo. à considerarci, come se giongessimo à porre la nostra
bocca al Costato di Christo, qual'habbiamo dentro di noi presente; io però dico
di vantaggio stimando, che perveniamo ad abbracciarci col medesimo Christo, il
quale ci stà invitando al Banchetto del Sagramento dell'Eucharistia, e ci và
dicendo, come Isaac: Appressati, figlio,
accioche io ti tocchi. Non mi appago, che tu mi miri, e mi habbia presente,
mà ti invito perche mi abbracci, ed io abbracci te, ed affinche tù sii tanto
presente à me, ed io à te, che siamo una medesima cosa, ed un medesimo spirito.
Desidera in somma Christo esser così presente all'anime nostre, che la sua presenza
non sia di qualsivoglia maniera, mà come presenza d'unione, e d'intimo, e reciproco
abbracciamento, e baciò frà l'anima, e
Dio: Così lo dice S. Tommaso nell’opusculo dell'amor di Dio con le seguenti parole:
Quando esperimentarai con il tatto, qual
conosce le cose, che gli sono approssimate, ed in quella somma congiunzione le
labbra di Giesù, quelle labbra, che distillano l'ottima mirra, ò pure non già
la mirra, mà l'ottima stilla di miele, quando dico esperimentarai non esser abborrite
quelle tue labbra , che già furono contaminate, mà più tosto esservi
maravigliosa, ed ineffabilmente impressi i baci. E non molto doppo
trattando di questa medesima unione Sagramentale con Christo, segue à dire: In questo grado con un certo mirabile, ed
indissimil modo rapisce ed è rapito, prende, ed è preso, stringe, ed è stretto,
ed una all'altra per unionc di amore si congiunge: e per ciò disse S. Dionisio
esser l'amore vincolo dell' Amante coll’oggetto amato. E più avanti soggionge:
Ne questa è unione di qualsivoglia maniera,ma trascendendo ogni arte, e facoltà
unisce l’anima à Dio, la creatura con il Creatore, il finito coll’infinito, e
ciò sempre con ogni convenienza, sempre con verità, sempre ottimamente: questo
dunque è lo stringere, etc.
S. Macario altresì tratta molto distesamente di questa intima unione, e presenza
di Christo Sagramentato coll'anima nostra, mà noi solo riferiamo alcune sue poche
parole, che sono: Si mescola, ed apprende l'anime Sante, e che gli sono molto
gradite, e fedeli, e come parla l’Apostolo si fà con esse loro un medesimo spirito,
e per così dire un'anima, passa nell'altra, ed una sostanza nell'altra sostanza,
affinchè l'anima nostra possa vivere con nuova vita, ed esperimentare la vita immortale,
e participare l’eterna gloria: quell’anima però la quale sarà degna di Dio molto
gl’aggrada.
Pongasi però mente non esser tutti capaci d'haver, nell'anime loro: questa
presenza, ed unione di Christo: pcroche in essa, come molti Santi hanno scritto,
non solo Christo si unisce, ed abbraccia coll’anima, mà eziandio esperimenta l’anima,
ancorché non la vegga, questo abbraccio, e presenza di Christo, e sente, e
chiaramente esperimenta questa real presenza di Chrifto per mezzo di un dolcissimo
contatto, ed ineffabile abbracciamento di Christo con essa lei, come altrove
habbiamo distesamente dichiarato; Dove è degno di molta riflessione, che non tutti
i Giufti, che ricevono Christo godono, sentono, ed esperimentano questa dolcissima
presenza di Christo, mà solamente quelli, i quali hanno sommamente purificato l'interno
dell'anima. Degl'altri Giufti possiamo dire, che solo subodorano la presenza di
Christo, che sentono nell'anime loro qualche effetto della medesima presenza, e
sanno per fede eser ivi presente Christo Signor nostro: tuttavia non lo
veggono, ne esperimentano, ò godono della sua presenza. Mà l'Anime di eccellente
purità delle quali parliamo, non solo esperimentano gl'effetti, la soavità, e fragranza di questa Divina presenza di Christo, mà eziandio gaustano
del medesimo Christo, e la soavità del suo dolcissimo contato, ed
abbracciamento. Vi è per tanto non poca differenza anche frà quelli, che
degnamente si communicano, peroche alcuni vi sono, che rassomigliano à chi hà
seco il soavissimo odore di alcuna preziosa vivanda, che se bene non la veggono
né gustano, tuttavia certamente sanno esser ivi sì per l'odore, come per il
conforco, che esperimencano quantunque né la tocchino né la gustino. Altri però
non solamente sentono la fragranza, mà altresì hanno posta la vivanda nella
bocca, laonde per il gusto chiaramente, discernono qual sia quella vivanda.
Quindi avviene si possa dire, che l’anime quali sono veramente spose di Christo
quasi con tutti i sensi godano in questo Sagramento la real, e Divina presenza
di Christo. Imperoche non solo con il gusto saporeggiano questa manna, e pane Angelico,
qual'eccede ogni dolcezza, e soavità, mà coll'odorato si ricreano in questo
giglio, e rosa di Paradiso, qual tramanda da sé un soavissimo odore, con il tatto
esperimentano gl’abbracciamenti, e baci del loro Sposo dolcissimo, e con l’udito
ascoltano l'armonia de'suoi insegnamenti, dottrina, e cogl'occhi lo contemplano
quasi senza il velo della Fede. Imperoche se ben è vero, che non lo veggono
chiara, e distintamente, tuttavia per esperienza, che hanno de suoi abbracciamenti
conoscono certissimamente esser ivi presente, e ciò non solo: per la Fede, mà
parimente per una, come sensibile esperienza della sua presenza, e da questa nasce
loro un’altissimo conoscimento di quello, ch’è Giesù Christo secondo la sua Divinità,
ed Humanità Santissima.
Possiamo parimente porre un’altra differenza; frà l’une, e l’altre anime,
che degnamente ricevono Christo, e questa è la medesima di quella si ritrova frà
una Persona la quale essendo all’oscuro sà di certo esser ivi un'altro, per haverglielo
detto chi non può mentire, e se bene non lo vede dagl'effetti però congettura
esser ivi presente. E un'altra Persona, la quale ancorché sia all'oscuro, e non
veda quello, che ivi è presente, nondimeno perche lo tocca, ed abbraccia, gli
parla, e sono tali gl'effetti, che sperimenta, che in nessuna maniera può
dubitare della sua presenza. E quantunque sia vero, che avanti la toccasse sapeva
certo, che stava presente, tuttavolta doppo l'esperienza de'suoi abbracciamenti,
sà esservi presente non perche lo veda, mà perche l'esperimenta con tanta
certezza, e chiarezza, che non può dubitare della sua prefenza. Hor chi potrà
dire i mirabili effetti cagionati nell'anima da questo dolcissimo
abbracciamento di Christo. Quivi é dove l'Anima nell’Altare del nostro Christo
fà il suo nido, quivi è il suo sicurissimo Porto, ove non giongono i venti, né
l'onde delle turbazioni, ivi sono le delizie, ed ineffabili soavità , che né
generano fastidio, né possono mancargli, nè essergli tolte, ivi è la pace, che
sopraeccede ogni pace, ivi è il godimento senza mescolanza di pena, ò afflizzione,
ivi la felicità felicissima, là dolcezza dolcissima e la Beatissima beatitudine.
Ivi la sorgente, e principio abboadantissimo d’ogni bene, e finalmente il fonte
di tutto il casto, Santo, ed ineffabile diletto, e soavità. O, quanto gran bene
è l'abbeverarsi à questa scaturigine d'ogni bene, bere il bene, e la felicità, ed
inebriarsi à questo fonte dolcissimo, deliziosissimo, e dal quale nasce un’abbondantissimo
torrente di tutta la dolcezza,e santo diletto.
Quest'ultima presenza di Dio non si communica se non à chi si appressa à questo
divino Sagrameneto con grandissima disposizione, come suoi ritiovarsi in un’anima
doppo esser stata provata con grandi afflizzioni, desolazioni, o persecuzioni,
ed esser mille volte morta à sé stessa, ed à tutte le creature, e finalmente
doppo, che per mezzo de'predetti travagli habbia acquistato un'amore, ed una sete
ardentissima di unirsi con Christo in questo Divino Sagramento. Queste son
quell'anime, che nel riceverlo esperimentano la reale, e Divina presenza di
Christo, ed altri effetti, che difficilmente si possono spiegare, e quantunque
à ciò non giongano que’Giusti a quali manca una tal disposizione tuttavia ciascheduno
esperimenta secondo la sua maggiore, e minor disposizione gl’effetti del medesimo
Divino Sagramento, e furono brevemente racchiusi dal'Gersone in tre versi, che
vogliono dire: L'Eucharistia ristora,
sazia, dà vigore , e accresce; raffrena il senso, fà servire la carne, e
dominare la Ragione, feconda, trasforma, sposa, ed unisce. Per applicare
questi effetti potria scriversi un’altro Capo, mà dal già detto si possono agevolmente
intendere.
CAPO X
Di un'altro grado di Presenza di Dio intellettuale nel quale si considera Dio come Trino ed Uno
Si ritrova un altro grado di Presenza di Dio intellettuale, quall’è più
sublime e perfetto di quello che habbiamo sopra spiegato ed è quando senza
ascendere per le creature, di volo ci poniamo alla Presenza dell'immensa Maestà
di Dio. talvolta secondo che Egli è Uno e secondo la sua essenza e perfezioni,
talvolta innalzandoci per mezzo della Fede, e considerandolo non solo come uno
in essenza, ma anche come Trino nelle Persone, qual’è un altro grado più
sublime della Divina Presenza ed assai più diffìcile a spiegarsi.
Ed incominciando dalla prima Presenza di Dio, deve, avanti ad ogni altra
cosa, presupporsi quello che c’insegna la Fede, cioè esser Dio un'essenza
semplicissima e ch’egli è Creatore di tutto il visibile e invisibile,
buonissimo, sapientissimo, potentissimo e finalmente in tutto e per tutto
infinitamente perfetto. tamente perfètto. Il modo di tener Dio presente, e
mirarlo, come una pura bontà origine. fonte d'ogni bene; una Verità etern. una simplicissima
Unità, Puro atto, Potenza onnipotente, esemplare Santità, Sapienza eterna, un'Esser
puro, e sussistente in sé medesimi, un Principio di tutte le cose create, una
primordial Regola, e misura d'ogni rettitudine, giustizia, Verità, e Virtù. Un
Dio in cui si ritruova tutta la nobiltà, bellezza, dolcezza, pietà, giustizia, Somma
Carità,e Felicità. In somma quaisivoglia perfezione senza misura, né termine, e
per conseguenza il suo Essere è da tutte le creature incomprensibile. Queste, ed
altre cose habbiamo con puro, e limpido cuore da amorosamente mirare in questa soavissima
Presenza di Dio. Ne'suoi libri.della Considerazione
domanda S. Bernardo: Chi è Dio? E risponde
di questa maniera: Non mi si offerisce
altro di meglio à dire, se non ch’Egli è quello ch'è. Così parimente
rispose Dio à Mosè quando gli disse: Quello,
ch'è, mi hà mandato à voi. Né poteva aggiongersi altra cosa, qual meglio spiegasse
l’essere di Dio: avvengache se havesse detto, che Dio è buono, onnipotente, savio,
ò altra cosa somigliante, tutto ciò, e molto più lo racchiuse in quella parola:
Quello che è; Imperoche ci diede ad
intendere solo egli esser quello,che é, e che dal suo essere si deriva qualsivoglia
altro essere: che Dio è un principio senza principio, dal quale tutte le cose hebbero
principio. Chi è Dio? Quello dal quale, e per il quale hanno l'essere tutte le
cose e nel quale tutte si contengono. Da Dio, come da principio ed Autore,
tutte si originarono, né puoterono avere altro principio o Autore, ed in lui
finalmente tutte sì contengono ed egli non è contenuto da luogo alcuno. Tutto
ciò in sostanza dice S. Bernardo.
Con modo à lui somigliante domanda S. Agostino nel libro delle sue “Confessioni”: Che cosa è il mio Dio? Certo egli non è
altro se non il Signor Dio, il Sommo, ed Ottimo, il Potentissimo,
Onnipotentissimo, il misericordiosissimo, e giustissimo, il secretissimo, ed il
presentissimo, il bellissimo, ed il fortissimo, stabile, ed incomprensibile;
immutabile, e che muta tutte le cose, nuovo e mai vecchio , e pur rinuova tutte
le cose, o fà invecchiare i superbi, ed essi non lo conoscono : sempre opera, e
sempre è quieto, raccoglie, e di nulla hà bisogno: Egli è quello, che sostiene,
e riempie, e protegge, e crea, e nodrisce, e perfezziona, cerca, e niente gli
manca. Egli ama, e pure non s'infiamma, zela, ed è sicuro, si pente, e non si
duole, si adira, ed è tranquillo, muta le opere senza cambiar consiglio, riceve
quello, che ritrova, e giamai lo perse: mai poucro, e si rallegra de'guadagni:
mai acaro, ed esigge l’usure: gli si offeriscono cose di supererogazione,
accioche gli si sodisfaccia, e pure chi hà cosa alcuna, la quale non sia sua?
Paga i debiti, e non è debitore ad alcuno, condona i debiti , e nulla perde. Mà
ch'è quello, che diciamo Dio mio, vita mia, dolcezza mia Santa; ò pure ch'è
quello, che alcuno dice di tè? E guai à quelli, che tacciono di té? peroche essendo
per altro loquaci sono muti. Chi mi concederà, che io mi riposi in tè; chi
potrà fare, che tù venga nel cuor mio, e l'inebri?
Tutto ciò, e quanto può dirsi delle perfezioni divine non vi è nome che
meglio l'esprima, ch’è il di sopra adotto, cioè: Quello che è; avvengach in esso si dichiara la grandezza e dignità
di Dio e per il quale s’intende la grandezza della sua Maestà e di tutte le sue
perfezioni: questa e l'incomprensibile immensità della sua immensità, della sua
bontà, della sua misericordia, della sua giustizia, della sua sapienza, della
sua onnipotenza, della sua nobiltà, della sua bellezza, della sua fedeltà,
delta sua benignità e felicità e di altre infinite ricchezze e perfezioni che
in luì si ritrovano.
Per il che S. Dionisio volendo dichiarare alcuna cosa della grandezza e
dignità dell'esser di Dio, non ritrovò miglior modo di dichiararlo, che quello
con il quale ne'suoi Libri della Mistica Teologia ci diede a conoscere la
differenza dell'esser Divino, da qualsivoglia altro essere creato. Insegnò per
tanto, che volendo noi conoscere Dio dobbiamo divertire i sguardi dalla
perfezione di tutte le creature, accioche non c'inganniamo volendo misurare per
mezzo di loro, e dedurne quello sia Dio; dobbiamo perciò lasciando le tutte al
basso. inalzarci i contemplare un'essere sopra tutto l'essere, una sostanza sopra
tutte le sostanze, una luce sopra tutte le luci, ed al confronto della quale tutta
la luce è tenebre: una bellezza sopra ogni maggior bellezza, ed al di cui
paragone è bruttezza qualsivoglia bellezza. Ciò volle significarci quella
oscurità nella quale entrò Mosè à parlare con Dio, e con la quale si ricuopriva
alla vista tutto quello, che non era Dio, attesoche in tal modo poteva meglio conoscere
Dio. Ci dichiara parimente il medesimo quel coprirsi Elia gl'occhi col
mantello, quando si vidde passare d'avanti la gloria di Dio: impercioche à
tutto il visibile deve l'huomo chiuder gl'occhi (come à cosa tanto inferiore, ed
improporzionata) se vuole contemplare la gloria dì Dio.
E poiché sarebbe cosa assai ampla il trattare in particolare dell'immense perfezzioni
del nostro Dio, in cui si contengono le perfezzioni, e bellezze di tutte le creature,
per ciò intralasciamo di farlo. Solo accenniamo, che quanto è disperso per questo
Mondo così bello creato da Dio , tutto con perfezzione infinitamente maggiore si
contiene.nel suo Creatore, e Facitore. Imperoche havendo Dio communicate à
tutte le creature le perfezzioni, che hanno, necessariamente hanno à contenersi
in Dio tutte le perfezzioni, che sono disperse per tutte le creature; non
potendo alcuno dare quello, ch'egli non hà. Da ciò proviene, che nella Sagra
Scrittura si pongano a Dio tanti nomi diversi e propri delle creature, perché
una volta lo chiama Sole, un'altra Luca, un'altra Mare, un'altra aquila reale,
un'altra leone, un'altra agnello, un'altra Pane del cielo, un'altra acqua di
vita, un'altra stella mattutina, un'altra fiore del campo e giglio delle valli
e con altri somiglianti nomi. imperoche, essendo Dio un immenso pelago di tutte
le perfezioni e per altro essendo le creature tanto manchevoli al suo paragone,
attribuisce a Dio molte, di queste perfezioni create, accioche per mezzo di
molte e diverse si dichiari quello, che non potriasi spiegare con una sola. Dio
dunque è un mondo di perfezioni e bellezze, un mondo di sapienza e di
onnipotenza; un mondo di bontà, di soavità, di giustizia, di misericordia e di
tutte le ricchezze. Tutte queste perfezioni e prerogative con altre infinite sono
in Dio, né si può comprenderle l'intendimento.
Ciò presupposto deve sapersi, che S. Bernardo dice ne'Libri della Considerazione
dover noi quando staremo in questa presenza di Dio, considerare quattro cose: La
prima è l'Ammirazione della Maestà, con stupirsi della magnificenza e grandezza
del nostro Dio, dicendo con David: Grande
è il Signore e degno di eccessive lodi, e la sua grandezza non hà fine; e
quello, che canta la Chiesa: Ripiena è
tutta la terra della Maestà della sua gloria. La seconda è il riflettere a'Giudizi,
dicendo coll'Apostolo: Quanto sono
incomprensibili i suoi giudizi, avvengache quella ponderazione fonda
l'Anima nel timore di Dio, qual'è principio della Sapienza. La terza è la
memoria de'benefici, con la quale si conserva la gratitudine, dicendo con il Profeta:
Tutte le cose sono tue, ò Signore, e
quello, che habbiamo ricevuto dalle tue mani, à Te lo rendiamo. La quarta,
ed ultima è la promessa del premio eterno, qual Dio ci hà fatta, e che ci sollieva
e conforta per soffrire i travagli.
L'altra Presenza della Santissima Trinità è più difficile à capire. Chi
potrà capire l'essere di Dio? Come si generi il Figlio dal Padre e come dal
Padre e dal Figlio proceda lo Spirito Santo, che e amore eterno e vincolo del
Padre e del Figlio? Desiderava anticamente Mosè veder chiaramente Dio e come
egli sia in se stesso e siccome Io desiderò, così si fece animo a chiederlo al
medesimo Dio: Signore, gli disse, mostrami svelatamente il tuo volto. Mà
sua Divina Maestà gli rispose: Non potrai
vedere la mia faccia, imperoche huomo, que vive, non mi vederà: Quasi
volesse dire, il veder chiaramente la mia essenza e le Divine processioni del
Verbo ed Amore Eterno non si concede a quelli che sono viatori in questa vita
mortale. Promise tuttavia Dio a Mosè, che le concederia qualche conoscimento di
sé, ancorché oscuro, dicendogli: Vi è un
luogo appresso di me; starai sopra una pietra. Hor, stando sopra di questa,
hebbe qualche conoscimento di Dio come domandava: imperoché questa pietra, che
sta appresso di Dio è la Fede della Chiesa Cattolica, fuori della quale non vi
può haversi conoscimento vero e certo della Santissima Trinità. Da questa
pietra potremo con gl’occhi della Fede farci presente il Santissimo Mistero
della Trinità, considerando come in un Dio vero e semplice si ritrovi una
spirituale e purissima Generazione. E per quanto appartiene alla Generazione
del Verbo Eterno dal suo Eterno Padre si deve sapere che questi conoscendosi e
contemplandosi perfetta ed eternamente produce da sé medesimo, ed in sé
medesimo genera il Verbo, il quale e perfetta e naturale immagine, splendore e
Figlio ed esemplare di tutte le Creature. Da ciò può inoltrarsi a mirare, come
contemplandosi il Padre ed il Figlio e vicendevolmente amandosi e compiacendosi
in sé medesimi con un amore soavissimo ed incomprensibile producano e spirino dentro
di sé un’Amore increabile ed infinito, il quale è un vincolo amoroso d’ambedue,
e questo si chiama Spirito Santo. Puòle eziandio divotamente considerare quanto
deliziosissima e felicissima sia la Vita di questa ineffabile Trinità, e come
le tre Persone della Santissima Trinità si conoscano, contemplino e comprendano
dentro loro medesime e parimente come si amino dentro se medesime con un amore
immensamente soavissimo e finalmente como felicissimamente, una nell'altra si
godano.
Tutte le predette cose dobbiamo guardarle e considerarle con grande
riverenza, humiltà e purità di cuore e procurando eziandio la quiete e il
raccoglimento interiore. Prendasi per fondamento certo quello che la Fede
insegna e si fugga il curiosamente investigarlo acciochnon si rimanga oppresso
della gloria. Quello che non intende lo si creda con viva Fede e di quello che intende
si renda di tutto cuore grazie a Dio, dicendo, se il conoscere Dio è cosa
totalmente incomprensibile, quanto più sarà l’ intendere questo ineffabile Mistero
della benedetta Trinità?
E quantunque sia vero esser impossibile il comprendere questa Divinissima
Trinità, e com'essa sia, non perciò habbiamo da lasciare i procurare, senza stancarci,
di continuamente contemplare questo Mistero, desiderando sempre più
approfittarci in sinceramente crederlo, e nella luce del conoscerlo, e conseguentemente
nell'affetto, ed amore. Così molto bene al nostro proposito lo dice Dionisio Cartusiano
con le seguenti parole: Ancorché non
portiamo comprendere la sopragiocondissima Trinità, è mestieri tuttavia, che
indefessa, e continuamente ci sforziamo à via più ogni giorno sinceramente
contemplarla, à mirarla con più chiarezza, à specularla con più affetto, ed à conoscerla
con più stabilità, e con un sopraccedente feruore. Imperoche dobbiamo investigarla
per più dolcemente ritrovarla, e ritrovarla per più avidamente investigarla. Mà
per ottener questo, sforziamoci giornalmente crescere nella purità interna, e
nella quiete della mente, e nell’amore di Dio: Desideriamo sempre con servido
zelo riverire Dio, e senza giamai stancarci preghiamolo ad illuminarci.
Imperoche quanto hora più altamente ci avantaggiamo nella contemplazione della
soprabeatissima Trinità, tanto via più ci conformiamo, ed appressiamo alla
perfezione , e beatitudine de'Cittadini celesti, de'quali tutta la mercede,
vita, ed occupazione consiste nel vedere Dio Trino ed Uno.
CAPO XI.
Della Presenza di Dio affettiva.
Se bene la Sposa haveva ritrovato il suo Sposo, non si era tuttavia
incontrtla in esso con quella pienezza che bramava e per ciò così disse: Mi levarò ed andarò girando per la Città:
per le vie e piazze; cercarò quello, che ama l’Anima mia. E poco doppo
soggiunge: Essendo passata un pochetto
avanti, ritrovai quello, che ama l’Anima mia. Andava la sposa con grande
sollecitudine e con vari discorsi e meditazioni, attesoch spiritualmente questo
vuol dire l'andar girando per la Città, sicome l'andar per le contrade e piazze
significa per le creature, nelle quali andava ricercando il suo Sposo; le parve
nondimeno, che non lo ritrovava tanto perfettamente come Lei bramava, poiché l'haveva
ritrovato con la meditazione, il discorso e le operazioni dell’intelletto. Per
il che passata un poco più avanti, e ciò fu quando havendo incominciato a
lasciare que’discorsi ed operazioni dell'intelletto, camminò con il piede del
suo affetto e disse che Io ritrovò, si unì e si abbracciò con esso lui. Con
queste parole ci sono date da intendere due maniere di cammino che sono nella
vita spirituale per giungere a Dio. Il primo è quello dell'intelletto,
camminando o per meditazione o per contemplazione o discorso e cercando Dio per
mezzo delle creature e salendo cogl’occhi dell'affetto a rimiarlo e a tenerlo
presente. E ciò, o come egli sta dentro di noi medesimi, o come egli è in sé medesimo,
considerando il suo essere, le sue perfezioni e l'ineffabile Mistero della Santissima
Trinità. Questo modo di Presenza di Dio e buono e givevole, con tal condizione
però, che l’operazioni dell'intelletto siano accompagnate dagl’affetti della
volontà. Imperoch di qual profitto sarebbe la meditazione e Presenza di Dio sia
corporale, o intellettuale se non accendessero e infiammassero la volontà
nell'amore di Dio o almeno in qualche altro pio e devoto sentimento?
Il secondo cammino per investigare e ritrovare la Presenza di Dio è più brieve
e più nobile e di maggiore giovamento, e questo è per la via dell'affetto ed atti
della volontà. Per il che è mestieri sapere che quando lasciando tutti i
discorsi e precedendo solo una semplice vista o conoscimento dell'intelletto,
la volontà con affetto d'amore, che è la principale lingua dell'anima, parla e
tratta con Dio. E ancorche sia vero, che di ordinario habbiamo prima da esercitarci
nella meditazione e in altri atti dell'intelletto e ciò per qualche tempo, avanti
che del tutto ci diamo a questo esercizio; nondimeno essendosi già l'anima per alcun
tempo esercitata nella meditazione, potrà senza dubbio entrare per la porta
dell'affetto a ritrovare Dio. In oltre accede (como riferisce Gerson) che
alcune anime semplici, che non fanno discorrere, esarcitandosi nel principio
della loro conversione con il solo conoscimento della Fede in atti di
contrizione, ed amore, sono gionte all’acquisto di altissima perfezzione ed uinone
con Dio.
Ma avanti di trattare dell'eccellenza e frutto di questo modo d’orare
dichiareremo brevemente in qual modo concorra l'intelletto, ed in qual modo la
volontà a questa maniera di Presenza di Dio. Vollero dire alcuni, che ciò
potesse fare la volontà senza che la precedesse o accompagnasse alcun’atto d’intelletto.
E pretenderono esser stato di questo sentimento S. Dionisio all’horache scrivendo
del suo discepolo Timoteo dice: Ma tù
Timoteo lascia tutte le cose sensibili ed intelligibili e sollievati senza
notizie per l'unione d’amore Hor se bene sono stati di questo parere alcuni
Dottori Mistici, e nondimeno alieno da ogni buona Filosofia e ragione naturale,
avvengache e impossibile che la nostra volontà ami quello, che non conosce,
così insegna s. Agostino, qual seguono san Tommaso e la commune sentenza de’ Teologi.
Quindi avviene esser necessario, che preceda qualche atto d’intelletto a questa
orazione affettiva. Deve questo atto essere di Fede, mirando con semplice vista,
che Dio stà dentro di noi, e che Egli è una bontà immensa, o cosa somigliante
secondo quello, che la Fede c’insegna delle Divine perfezioni. Nota con tutto ciò
S. Bonaventura, che l'atto più proporzionato per questo esercizio non è quello
che mira gl’attributi Divini, ma bensì quello, che con lo sguardo della Fede si
fissa nell'esser Dio infinitamente buono ed amabile, attesoche questo è
l'oggetto più connaturale e proprio della volontà. Questo atto e semplice
sguardo dell'intelletto si conosce molto bene al principio, mà doppo essersi
l'anima esercitata in questi atti affettivi, non si conosce, ancorche vi sia. E
ciò avviene perché ritrovando già l'anima molto assuefatta a sollevarsi in Dio
per mezzo dell'amore, senza che vi rifletta né avverta ad alcuna notizia di
Dio, si ritrova posta in questo amore. Laonde non deve riputarsi, che non vi
sia alcun riconoscimento, ma come atto momentaneo non si avverte. Spiegasi ciò
coll’esempio di cert'une Persone timorose, le quali udendo lo sparo di un'archibuso,
ò lo strepito di altra cosa, in un'instante si eccita in loro il timore, al
quale se bene è preceduto il conoscimento di quel’oggetto, come di cosa, che potesse
apportargli nocumento, non si avverte però in alcun modo: hor nella medesima
maniera accade in quelli, che sono habituati inquesti atti d'amore. Notisi parimente
che tal volta quelli, che cominciano questo cammino doveranno servirsi di alcuna
meditazione o di altra notizia intellettuale. Dal che segue potersi dare tre
maniere di atti dell'intelletto che servono agl’affetti de’ quali hora
trattiamo. Il primo è quando precede qualche meditazione o altra conoscimento
di qualche attributo Divino. Il secondo è quando con il solo atto della Fede
mirando all'esser di Dio infinitamente amabile, la volontà tutta s’impiega in
affetti d'amore. Il terzo quando, senza veruna notizia particolare, mà solo con
una conoscimento generale e confuso della incomprensibilità di Dio in generale,
s'innalza l'anima con questi atti d'amore e spicca come un salto, quasi senza
pensar nulla in particolare di Dio, si unisce ed abbraccia seco per amore.
Questo terzo modo di notizia e molto perfetto e più vicino all'intima unione
con Dio ed è dai Dottori chiamata Teologia mistica.
Ne’ due primi gradi la volontà non è ancora perfettamente unita con Dio e
così pare, che vada vibrando queste saette d'aspirazione in Dio, ed una doppo
l'altra, non continuamente, à guisa di una persona, che va bevendo il vino a
sorsi.Nel terzo grado però è più continuamente e con maggiore perseveranza
questo affetto d'amore, come si dichiara con questo esempio. Nelle Vite dei
Padri si legge che uno di quei Padri Anziani dell'Eremo, facendo orazione
insieme con due Monaci suoi Discepoli, domandò al Signore che gli dichiarasse
l'orazione e meriti di que’ due giovani e vidde, che da uno di loro s’innalzavano
alcune vampe come di fuoco, e vedeva che dall'altro si sollevava come una corda
o saetta di fuoco che giungeva fino al cielo, la quale non s’interrompeva, ne
troncava. In modo somigliante suole avvenire in alcuni, i quali per mezzo di
queste aspirazioni tal volta giongono ad un amore tanto continuato, che in ogni
tempo e luogo stanno attualmente uniti con Dio in guisa tale, che ne i negozi,
né le occupazioni li divertono; anzi quello, ch’è più, che volendosi divertire
non possono, peroche sono già tanto habituati e trasformati in questo amore,
che senza pensarvi pare loro se ne vada l'anima in Dio e si riposa
continuamente in lui per un modo tanto delicato che se non è chi l’esperimenta
diffìcilmente si può intenderlo. tenderlo. Questo è quello, che dice S. Bonaventura
della mistica Teologia, cioè che in quel modo con cui respirando tramandiamo, senza
deliberazione il fiato, ò respiro dall' interno del nostro corp, così parimente,
e con la medesima prestezza, quasi senza deliberazione respirano quelle persone
esercitate dall'intimo de'loro cuori questi accesi desideri.
E notisi, che la volontà è quella, che qui opera, ella è quella, che principalmente
travaglia, e con il suo travaglio arricchisce l'Anima. La principal fatica però
è nel principio fino à che si accenda questa fornace, e fuoco d’amore: mà quando
l'Anima si è habituata se gli rende molto facile, ancorché ove questo esercizio
sia vehemente, se non si modera con qualche intermissione inflacchisce notabilmente
la testa.
Questi affetti d'Amore si chiamano orazioni iaculatorie, pero che sono,
come accese faette, con le quali spezziamo il muro, che si frapone tra l’Anima e
Dio, e giongiamo à ferire il medesimo Dio. Delle medesime orazioni si valsero molto
quegl'antichi Monaci dell'Egitto, come riferisce Cassiano, dicendo, che stimavano
più utili quelle brevi, e molto spesso iterate orazioni; attesoche
frequentemente orando possiamo continuamente unirci à Dio, e con la loro celerità
evitiamo le faette dell'insidioso Demonio, che all'hora più si adopera à
vibrarle quando facciamo orazione. Del giovamento di quelle aspirazioni tratta
il medesimo Cassiano, nelle sue “Collazioni”.
Esercitavansi parimente molto que' Padri in quello modo di affetti, ed aspirazioni,
sì perche con la loro brevità non affaticano la testa, sì perche si esercitano con
più fervore, e spirito. Imperoche in un punto l'Anima si pone alla presenza di
Dio, e non vi è luogo, perche l’attenzione , qual'è tanto necessaria per
l'orazione s'intiepidisca. Così mirabilmente lo disse S. Agostino: Dicono, che i Monaci dell'Egitto fanno
frequenti orazioni, brevissime però, e
velocemente vibrate, affinche quella vigilante, e retta intenzione, la quale è
nccessaria à chi fà orazione, per il melto durare non si diminuisca.
Di questo modo d'orazione, e presenza di Dio trattano difusamente S. Bonavcntura
ne' Libri della Mistica Teologia, tutti quei, che comentarono i Libri della
Mistica Teologia di S. Dionisio, il Gersone, Henrico Arfio, e molti altri
Dottori Mistici, fondandosi nella Dottrina di S. Dionisio Areopagita, cosi
ne'Libri, che scrisse della Mistica Teologia, come nella lettera da lui scritta à Timoteo. Tutti
gli addotti autori pongono la perfezione di questo cammino in chiudere quanto
sia possibile l'occhio dell'intelletto ed aprire quello dell'affetto, qual’è
quello dell'Amore. dell'Amore. Deducono ciò quello si dice ne' Sagri Cantici: Tu mi hai impiagato il cuore con uno de tuoi
occhi; qual'è quello della volontà. Dice per ciò S. Bonaventura, che da ciò siegue esser necessaria condizione à
questa elevatissima apprensione, che nell’ istessa elevazione cessi ogni
cognizione speculativa. E poco doppo soggiunge: Laonde questo è l'ordine di elevarsi: Prima è necessario, che lasci la
confiderazione, ed amore delle cose sensibili, e la contemplazione di tutte le
cose intelligibili, e senza mescolanza d'intelletto si sollievi puro l'affetto
in quello, quale con il suo sguardo conosce, come quietativo del suo desiderio,
accioche lui più intimamente si unisca. Vuole dunque il Santo, che si cessi
dagl'atti, e meditazioni dell'intelletto, e solo lascia, e permette quella
notizia, con la quale conosciamo Dio, come sommo bene, infinitamente amabile, e
ciò insinua con quelle parole: in quello,
quale con il suo sguardo conosce, come quietativo del suo desiderio. Impercioche
solo dobbiamo considerar Dio, secondo il già detto, come infinitamente dolce, e
dilettevole. Spieghiamo ciò coll’edempio addotto dal Gersono.
Quando un cieco si pone alla mesa per mangiare una gustosa vivanda non e mestieri,
ch’egli sappia di che colore sia o di che qualità composta; basta che gli si
dica, o vero, ch’egli per esperienza sappia che quella vivanda è dolce e
saporita e questa notizia gli serve di più efficace motivo, che qualsivogl’altra
per mangiarla. In modo somigliante, per gustare Dio e per unirci in breve, e
perfettamente col suo amore è necessario chiudere quest'occhio dell' intelletto
ccontentandoci di questa semplice notizia, qual ci detta esser Dio sommo bene, sommamente
amabile dall'anima nostra e parimente, ch’egli è infinitamente degno d’essere
amato e glorificato senza riflettere più ad altro conoscimento.
Avvertasi però, che se bene il principale esercizio deve essere quello di
cui già si è detto, non per ciò totalmente escludiamo gl’altri esrercizi di particolari
conoscimenti di Dio, di Christo nostro Redentore e degl’atti dell’altre virtù.
Da ciò siegue che quando si sentisse tiepido, debba procurare infiammarsi ed inalzare
il suo spirito per mezzo di qualche notizia e conoscimento, che gli sia di più giovamento
per riaccendere questo fuoco nel suo cuore. Essendosi però già riacceso, deve
lasciare tutte queste notizie panicolari ed entrare in questo esercizio di
orazioni iaculatorie ed atti d'amore: avvengache à poco à poco ssperimenterà in
se medesimo una sete e fame di Dio e da questi atti sciolti ed interrotti giongerà
in breve tempo ad un’atto continuato d'amore ed alla pura contemplazione fino a
tanto, che pervenga alla perfetta unione con Dio.
È necessario, in oltre, il non sempre esercitarsi in questi atti d'amore
detti anagogici; prima perche con la loro vehemenza si debilitano molto la
forza e la testa; secondo perché non accada che, dimenticato delle virtù
morali, quando meno lo pensa, si ritrovi senza di loro e senza il fine preteso.
Deve dunque in tal modo esercitarsi, che passi da questi atti co’quali s’entra
in Dio, all'esercizio delle virtù e loro atti; ed in particolare dell'humiltà,
rassegnazione e rendimento de grazie, ed a considerare la vita di Cristo
specialmente il grande amore che ci portò. Imperoche così facendo, senza dubbio
quando torni ad entrare in Dio con l’esercizio dell'amore unitivo, si ritrovarà
molto più disposto e assomigliato al medesimo Dio e conseguentemente più
disposto alla Divina unione e trasformazioni dell'anima. Quindi avviene, che
quelli, che non passano a questo esercizio di virtù sono sogliono terminare in
un falso ozio e quiete naturale, onde pare loro, che già l’anime loro si
ritrovino in molto riposo e pace e molto d’appresso à Dio, ma veramente non lo
sono se non da sé medesimi e sono molto lontani dalle vere virtù. È necessario
dunque l’andare alternativamente rinnovando nell'afttma questi due esercizi di
virtù, cioè à dire l'amore unitivo e l'esercizio delle virtù e della mortificazione
di se medesimio, mirando, à questo fine, come esemplare la Vita di Christo
nostro Redentore.
Capo XII
Si dimostra esser più eccelcellente quella Presenza di Dio affettiva che la precedente
Trattando di questo cammino io potrei dire quello scrisse S. Paolo a'Corinti,
all'horache fauellando dell'eccellenza della Carità sopra l'altre virtù, e persuadendo
il seguire questo medesimo cammino disse: Affaticatevi
per imitare i doni più eminenti, peroche ancora vi dimostro una via più
eccellente. Buona è come dicessimo la Presenza di Dio corporale, buona
l'immaginaria, migliore l’intellettuale, sopra tutte però è l'affettiva peroche
è tutto l'inalzamento delle viscere della carità ed è del tutto ordinata
all'unione e trasformazione in Dio.
E cosa da sentirsi, e piangersi molto il vedere, che sono tanti i quali
camminano per quello cammino spirituale, e nondimeno sono i pochi quelli, che sappiano
qual sia il fine principale del cammino spirituale, ò per dir meglio, quanto
pochi siano quelli, che lo pretendano : e per avventura sono in minor numero
quelli, ch'intendano, e sappiano quali siano i più brevi, ed eccellenti mezzi
per conseguire questo fine. Molti ripongono tutta la loro diligenza, e sforzo
nelle continue meditazioni, altri nella mortificazione, ed esercizio delle
virtù, altri in altri eserciti santi, che quantunque siano buoni non perciò si
devono prendere, come fini, mà più; tosto, come mezzi ordinati ad un altro fine
più alto. Questo non è altro se non l’unione, e trasformazione dell'anima nostra
con Dio, consistendo in esta (sicome più distesamente dicessimo nel trattato
dell’unione sopranaturale) tutta la felicità della vita presente. Imperoche se
bene lo consideriamo, tutto il Vangelo, e la Sagra Scrittura sono ordinati à
due cose: l’una è l’insegnarci gl’istrumenti, e mezzi per il nostro fine; e sono
la continua annegazione, l’osservanza de’ consigli Evangelici, cioè della povertà,
castità, ed obedienza e l'esercizio di tutte le virtù. L'altra è quella, che
parimente c'insegna ed in che consista la felicità di questa vita qual’è
l’unione con Dio. Corrisponde questa all'atto del dono della sapienza, la qualle
fra tutti i doni dello Spirito Santo è la più nobile. Nel modo che nel medico una
cofa é l'offizio di cui è proprio l'applicare i tali medicamenti, ed altra cosa
è il fine, qual’è la sanità. Di dove intenderemo, che il conseguire questa felicissima
unione con Dio, è il fine per il quale fossimo creati, e che ad acquistarlo si
ordinano tutte le virtù, essendo il proprio loro offizio, come disse S. Tommaso
il togliere tutti gl'impedimenti per mezzo della mortificazione delle passioni
a fine di conseguire la purità del cuore, la quale è il miglior mezzo per unirsi
con Dio.
Intenderassi dal detto non esser superbia, che un'anima desideri questa
felicissima unione con Dio; anzi è gran bassezza, e viltà d'animo il contentarsi
coll'esercizio della mortificazione, e delle Virtù: attesoche oltre l'essere esercizi
aridi, e senza sugo quando non siano conditi con il sapore di questo fine; è un
fermarsi l'Anima nella metà del cammino e navigazione senza giongere à questa
unione, chiamata da spirituali fruitiva non vi è mezzo più brieve, ed efficace,
che quello delle continue aspirazioni, ed intimi desideri di Dio. Così l’insegna
il Venerabile Riccardo nel Libro del’esterminazione del male con queste parole:
Mà à quelle cose, che sono di là dal Giordano, e che superano il nostro senso, meglio
ci sforziamo con il desiderio, che per mezzo dello studio, coll'affetto, che
per via dell’intelletto: In questa parte è meglio il bramar molto discorrere
accioche meritiamo l'esser colà introdotti. Questa parimente è la sentenza di
S. Bonaventura in tutt'i suoi Libri della Mistica Teologia, di Gersone, e quasi
di tutt'i Dottori Mistici. La ragione di ciò è chiara, perocho consistendo questa
Divina Unione nella volontà, non può meglio acquistarsi, che per mezzo
degl'atti della medesima volontà, quali sono d'amore e desiderio di Dio.
Provasi inoltre questa verità, poiché essendo il mezzo principale per
questa unione la puritù del cuore, a questa più di ogni altra cosa aiutano
questi atti ed orazioni iaculatorie, quasi nascono dal fuoco dell'amore di Dio.
Imperoche sccorae un vaso materiale ( ed è l'esempio addotte à quello proposito
da San Bonavetura) si può purificar in due maniere, ò con acqua, ò con fuoco, e
quantunque l'acqua lo lavi, e mondi bene, assai meglio però lo fà il fuoco. Così
insegna l'esperienza, peroche ponendosi nel fuoco un vaso di terra vederassi
come in brieve tempo si consuma tutta la sua immondezza. Nell’istesso modo, se bene
l'anima si purifichi assai bene dalle sue imperfezioni con il dolore,
contrizione e lagrime, nondimeno assai meglio lo fà con questo ardore di
carità. Dal detto si racoglie (sicome communemente insegnano i Dottori Mistici,
seguendo à Dionisio Areopagita ne’ suoi Libri della Teologia Mistica) che per
giongere a questa perfetta unione non vi è cammino più breve e facile che inalzarsi
l'anima a Dio con questo esercizio e continui affetti d'amore, aspirando
incessantemente a Dio e parlando con lui e seco parimente abbraciandosi. Quindi
avviene che questo modo d'esercizio sia chiamato Presenza di Dio per una certa estensione
d’affetto in lui medesimo; questa non è altro se non un vehemente e acceso desiderio di piacere
a Dio, di amarlo e di perfelttamente unirsi seco. Dice per ciò assai bene Ludovico
Blosio nella sua istruzzione spirituale: L’assiduo
esercizio dell'aspirazioni, ò vero orazioni iaculatorie. e de'fervidi desideri
verso Dio, quando sia congiunto alla vera mortificazione, e propria annegazione,
è un certissimo compendio con il quale presto, e facillmente si perviene alla perfezzione,
alla sapienza della mistica Teologia, ed all'unione Divina. Impercioche queste aspirazioni
efficacemente penetrano,e superano quanto si frapone tra Dio, e l’Anima.
Possiamo altresì addurre un’altra ragione di ciò, ed è fondata ne'principi
della Filosofia: avvengache più propriamente per mezzo degl'atti della volontà
perveniamo ad unirci con Dio, ed à possederlo in questa vita, che per mezzo
degl'atti dell'Intelletto, come distesamente lo dimostra S. Bonaventura in quel
luogo, dove dichiara, che il modo più prossimo di abbracciarsi, ed unirfi con
Dio è per mezzo degl'atti della volontà: Il
terzo grado (sono parole del Santo) è
quando si tiene, si abbraccia, e spiritualmente si mangia Dio per amore , o questi
atti, e gradi sono principio dell'affetto della volontà, che hà per suo proprio
un'atto, qual'è di tenere, ò vero, di abbracciare, e quali di possedere, quali atti
non puole havere l'intelletto; imperoche la possessione, non è dell'intelletto
del cognoscente, mà della volontà di cui tiene: in quel modo, che la salute di
chi è sano, non è del medico, che la conosce, mà del sano, che l’hà: Laonde l’atto
del gustare non è proprio dell'intelletto, mà della volontà; poiché il gustare
conviene alla Carità, come dice Riccardo. E sicome Dio si ascolta con la
memoria, e coll’intelletto si vede, cosi per l’affetto si abbraccia, e si ritiene.
Né solo questo cammino è brevissimo, mà insieme nobilitissimo, come l'insegna
Henrico Arfio nella fua Mistica Teologia dicendo: Questa vita è molto più utile, e nobile, peroche Dio è maestro di tutta
la perfezzione, in guifa tale, che se un rozzo secolare, ed una vecchiarella sono
tirati, e camminano per questa via in brieve tempo acquistaranno maggior
notizia esperimentale di Dio, delle vere virtù, e di tutto quello, che appartiene
all'humana salute, di quello possino conoscere tutt'i Dottori del Mondo per
mezzo della sapienza naturale, e scienza acquistata.
Raccoglie da questo il medesimo Dottore non solo esser questo cammino molto
compendioso, e brieve per acquistar la perfezzione, ma eziandio molto facile; attesoche
non si richiede né acutezze d'ingegno, né sottigliezza d'intelletto, mentre tutta
quest’opera consiste nell'affetto. In oltre è più soave e dolce, che la
meditazione , essendo che questa hà di proprio l'esser faticosa, poiché và sempre
investigando, e procurando di ritruovare la Verità, il che non si fà fenza travaglio,
e difficoltà. Laonde disse il Savio: Noi
stimiamo difficile le cose, che sono nella terra, e quelle, ch'eziandio vediamo
le conosciamo con fatica , hor quelle che sono in Cielo chi potrà investigarle?
Esercitandosi dunque tutta la volontà per mezzo di quella Prefenza di Dio
nell'amore, lo fà con dolcezza: attesoche sicome non vi è cosa più perfetta, così
non vi è più dolce dell'amore. E fe bene è vero, che al principio sente l'Anima
difficoltà, e travaglio, nondimeno coll'amore si rendono tutto quelle malagevolezze
dolci, e soavi.
Dal detto si deduce ritrarsi da quello esercizio di Presenza di Dio molti
giovamenti. Il primo, e principale è l'havere una maravigliosa virtù per domare
la nostra carne. Così lo dichiara S. Bonaventura nella sua Mistica Teologia, dicendo:
Inalzandoli la mente con le sue intime
affezzioni con un certo mirabil mezzo bagna di ruggiada la sua carne, ed almeno
opera in modo, che la sua innata putrefazzione à poco à poco si debiliti,
mentre la di lei mente per un più ardente esercizio si estende alle cose superiori.
Gode altresì aiutata dalla Divina misericordia di una tal vittoria, che quanto
interamente si soggetta per amore al suo Creatore, tanto la carne, soggetta
contra la sua naturale inchinazione allo spirito, obbedisca a’comandi della
mente. Dal che proviene, che la mente presiede nel corpo, come in un Regno, e
dica à Dio: L'Anima mia ha sete di te, ed in molti modi parimente la mia carne.
Tutto ciò S. Bonauentura.
Può in oltre addursi un'altra ragione di quedta mortificazione della carne,
qual nasce da queste aspirazioni, ed è, che essendo l'Anima, e spirito la vita
del nostro corpo, quanto il medesimo spirito è dilongato, e sollevato dal
corpo, tante più lascia il nostro corpo disanimato, e fiacco nelle sue operazioni.
Così lo dimostrano quelli, che sono favoriti da Dio con estasi, e rapimenti, ne'quali
quanto più l'anima si trasforma in Dio per amore, che rapisce da se l'amante, tanto
più lascia il corpo abbandonato, insensibile, e come morto. Non altrimenri
accade, che frequentandosi questi inalzamenti da sé stesso, e penetrazioni in
Dio per mezzo dell'amore, via più sempre vanno mancando tutti quelli appetiti, ed
inclinazioni sensuali, fino à che gionga il tempo , che si rimangano, come
morti.
Insegna parimente il medesimo S. Bonaventura, chem quello esercizio dell'aspirazioni
giova non poco per resistere a’muovienti delle nostre passioni, ed alle tentazioni
del Demonio. Imperoche combattendo il Demonio con qualche tentazione quelli, che
si edercitano in quello modo di Presenza di Dio, ove s’avvedono avventarsegli
la saetta della tentazione non imbracciano lo scudo , ne l'aspettano à faccia à
faccia per resistergli, mà spiccano, come un salto, e come suol dirsi
togliendogli d'avannti il corpo se n'entrano in Dio, e rendono vano il colpo del
Demonio. Questo è un mirabil modo di resistere alle tentazioni, e passioni, ed
è non poco penoso per il Demonio: attesoche non mirando uno alla tentazione per
opporsegli, non rimane al Demonio per dove assalirli, ed essendo gli superbo
gli reca molta pena il vederli in tal modo disprezzato, che né meno se gli mira
in faccia. Così gl’avviene, come ad una donnicciola lasciata dal suo innamorato,
che mentre da lui è ascoltata, ancorche gli resisita, non perde tuttavia la speranza,
mà viene del tutto à mancargli, se quegli entra nella sua casa, gli chiude la
porta nel viso, e non vuole né vederla, ne ascoltarla.
Nasce per tanto dalla continuazione di questo esercizio una perfetta soggezzione
di tutte le passioni, ed appetiti della parte inferiore alla superiore. E la
ragione di ciò é, perche la volontà quale la Regina, e Rocca dell'anima, stando
del tutto soggetta à Dio è forza, che gli siano altresì soggetti gl'altri vassalli,
e gente del Castello.
In tutte l'opere, che fanno (è quello è un'altro gran frutto) acchittano
molto merito, e sono di non mediocre perfezzione, essendoche tutte sono fatte
in Carità, e si adempie quello dice l'Apostolo: tutte le cose vostre si facciano in Carità. Per il che purificate
dall'amore divengono opere dell'istesso amore, ed eseguendosi, come comandate
dalla Carità, si vertano eziandio della sua livrea e natural condizione:
imperoche ella hà di proprio convertire in carità tutto quello, che tocca, come
di tal'uno dissero le Favole, che quanto toccava con le mani convertiva in oro.
Si produce altresì da questo esercizio nell'anima una sete, o fame di Dio
per così dire insaziabile essendo questo un proprio effetto di questo amore affettivo,
ed insieme un gran tesoro. Imperoché quando l'anima incomincia ad esperimentare
questa sete, o fame del suo Dio, già hà conquistato un’efficacissimo mezzo per giongere
all’intima unione con Dio. Sentiva questa sete il Santo Ré David quando disse: L'Anima mia hà havuto sete di Dio fonte vivo.
Quando verrò, ed apparirò avanti la faccia
di Dio. Si come il Cervo desidera le
fonti dell’acque, nell’istesso modo anche anche à té l'Anima mia, Dio mio.E
di vero quando l'anima è tocca da questo calore, e febre d'amore non può riposarsi,
né quietarsi in alcuna cosa, poiche la sete, e fame di Dio non lo lasciano vivere,
né fermarsi, né ritenersi in qualsivoglia cosa creata, mà solo in Dio. Si assomiglia
ad un cervo ferito dalla saetta bagnata nel sugo dell'herba velenosa, che gli
penetra, ed abbrugia il cuore, onde subito corre senza poterli riposare à
cercar il fonte dell'acqua. Nella maniera parimente, che l'infermo arso dalla febre
non tratta di altro, né pensa giorno, e notte ad altra cosa, che alla fontana
d'acqua chiara, e fresca. Così l'Anima, che incomincia ad esperimentare questa sete,
e fame di Dio non gusta di cosa alcuna, né pensa ad altro, che questo: tutte le
cose create gli recano fastidio, avvengache tutto il suo pensiero è fisso in
quell’acqua Viua, la quale solo è bastante per apportargli refrigerio, à pieno
torgli la sete.
Finalmente questo esercizio d'amorosi affetti consuma tutta la ruggine, schifezza
de'nostri peccati, e vizi; vince le tentazioni, doma le passioni, soggetta la
carne, ed il senso, con tutte l'altre inclinazioni, che appartengono alla parte
inferiore, perfezziona le nostre opere, e tutte le sublima all'alto, e nobile
liguaggio della carità; purifica, e mirabilmente infiamma il cuore, cagiona una
insaziabile sete di Dio, alla quale siegue una felicissima unione col medesimo Dio,
la quale è la beatitudine, o felicità, che si può havere in questa vita.
Capo XIII
Del modo nel quale si hanno da praticare queste aspirazioni, secondo i differenti gradi di profitto spirituale
Tre sono i cammini che i Santi distinsero in quelli che da dovero cercano
Dio. Il primo si chiama via purgativa ed è proprio di quelli che cominciano; il
secondo illuminativa che appartiene a quelli che si vanno approfittando nella Carità;
il terzo si chiama via unitiva.qual’è di quelli, che si sono molto perfezionati
nell'amore e nell'unione con Dio. In ciascheduno di questi cammini si danno tre
modi di esercizi e di Presenza di Dio. La prima di queste è la purgazione, che
si acquista cogl’ atti di contrizione; la seconda e quella luce che si ha per
mezzo della meditazione e contemplazione di Dio; la terza è l'amore, qual’è
proprio l'esercizio della volantà e questa è propriamente quella, che abbiamo
chiamato Presenza di Dio affettiva. Hor, se bene in tutti i gradi sono i medesimi
esercizi di perfezione, sono tuttavia differenti, attesoche ne’principianti
sono molto diversi nell'eseguzione della purgazione, luce ed amore, di quello sia
ne’ già molto perfetti. Hor quello, che qui (con il favore di Dio) desideriamo dar
ad intendere sono due cose: La prima, che noi ci persuadiamo, che il principale
punto del nostro profitto consiste nel continuare sempre un meedesimo esercizio
così di purgazione come di luce e di amore. Ancorche di presente solamente
stiamo per trattare dell'amore nel quale si fonda la Presenza di Dio affettiva,
trattarassi con tutto ciò insieme della purgazione, peroche questi due esercizi
sono inseparabilmente congionti e ambedue risiedono nella medesima volontà.
Nella seconda porremo la pratica di questi esercizi in modo tale che ciascheduno
potrà capirla.
Una delle principali cagioni per le quali poco ci approfittiamo nel cammino
spirituale suol essere il non perseverare in un medesimno esercizio, ma andare (come
dicono) mutando paese ed incomiciando hoggi un esercizio e domani un altro e
lasciando questo ed abbracciando un altro, ed al capo dell'anno con nessuno si
acquista. Si rassomigliano alcuni a quelli che nelle piaghe mutano facilmente
rimedio senza dar luogo a che facciano l'operazione. Accade altresì a questi
come a quelli, che gustano molti vini e non ne comprano alcuno, onde il tutto
se ne va in assaggiati: sieguono qualsivoglia venticello di devozione e da qualsivoglia
parola, che leggono e da qualsivoglia parola, che ascoltano si lasciano
sollevare e subito vorriano entrare in quel cammino, onde sono come una naviglio
senza savorra. nauiglio fenza fauorra. Nasce da quella loro istabilità, che non
possono acquistare verun buon'habito di virtù, né di buoni costumi: peroche
richiedendoli à ciò tempo, e perseveranza ne'medesimi esercizi, qual'essi non
hanno, non possono condurre à fine alcun'impresa d'importanza, ed al fine di
molti anni si ritrouavono con molti principi senza però haver principiato , né gustato
il frutto, e soavità dell'orazione. Sarà per tanto necessario assegnare un modo
conveniente, perche fino dal principio della vita spirituale imprenda l'Anima
gl’esercizi più sostanziali della Presenza di Dio affettiva, quali segua e
continui per tutta la vita.
Il Cassiano nelle sue Collazioni dice importar molto l’obligarsi à qualche
maniera d'esercizio per poter havere una continua presenza di Dio. Loda per ciò
molto quel versetto di David: Dio attendi
ad aiutarmi, Signore affrettati à porgermi aiuto, del quale si serve la
Chiesa nel principio dell'Offizio Divino, e che ridotto alla pratica contiene,
come dice Cassiano, tutto quello, che si richiede per perseverare nella Presenza
di Dio. Imperoche primieramente giova per esercitar l'Anima nostra in
qualsivoglia divoto affetto: secondo, e principalmente per vincere tutte le
tentazioni, domandandoli istantemente aiuto à Dio, con disconfidanza di noi
medesimi. Terzo contro tutte, le cattive inclinazioni, ed affetti viziosi; e per dire in una parola
quello, che dice Cassiano in molte, con questo versetto invochiamo in tutti i
nostri affari il Divino aiuto, con questo ci humiliamo, riconoscendo la nostra
necessità, e miseria, con questo ci appoggiamo per hauer fiducia nell'esser esauditi,
e favoriti da Dio ne’ nostri bisogni; con questo parimente ci accendiamo
nell'amore di Dio, conoscendolo nostro refugio, e Protettore. Finalmente giova
per haver continua memoria, e presenza di Dio ed haverla facilmente, e senza
molestia. Conseglia per ciò il medesimo Cassiano il ripeterlo continuamente in
ogni tempo, e luogo ne'prosperi, ed avversi accidenti, in qualsivoglia
spirituale impiego, in tutte le tribulazioni, e tentazioni, dicendo col cuore,
e con la bocca: Dio attendi ad aiutarmi,
Signore affrettati à porgermi aiuto. Questo
modo di Prefenza di Dio del Cassiano è assai buono, e giovevole; nulladimeno
non è molto al proposito per quello, che andiamo investigando, cioè un'appoggio
di qualche esercizio, qual sia proprio della Presenza di Dio affettiva, ed unitiva:
attesoche questo serve per qualsivoglia modo di Presenza di Dio.
Sogliono altri esercitarsi in quello, ch'è più proprio di ciò che
trattiamo, e sono quelle parolo del Salmo: Crea
Dio in me un cuor puro; ed è molto lodato da Dionisio Cartusiano per l'esercizio
della Presenza di Dio, ammonendoci à servircene in ogni tempo, e luogo: mà questo,
per esser parimente commune à qualsivoglia Presenza di Dio, non è del tutto proprio della presenza affettiva.
Sogliono eziandio altri sciegliere alcune determinate orazioni, quali un Rosario
composso d'atti d'Amor di Dio, raccogliendo tutte le Divine perfezzioni, e nomi
della Santissima Trinità, come per esempio fino à cento : ripetono questo ogni
giorno, ed à ciaschedun nome esercitano atti, ed affetti d'amore. Altri per
fine esercitano alcune aspirazioni, ed affetti determinati , e le dividono per
le sette hore Canoniche del giorno , cioè Prima, Terza, etc. Sono tutte queste
assai buone maniere, e quest'ultima è per avventura più facile dell'altre per i
principianti.
Lasciati con tutto ciò da parte questi esercizi ancorche Santi, e buoni,
noi prendiamo à dire, con laDivina grazia qual'esercizio d’aspirazioni
sia più conveniente, e proprio à ciascheduno secondo il suo stato. Doverà questo esser tale, che l'Anima si
eserciti in esso per tutta la vita, onde possa havere un determinato modo, con
il quale possa raccogliersi, quando si fosse alquanto distratta dalla Presenza
di Dio. Imperoche il nostro intento è piantare qui una come colonna spirituale sopra
la quale deva fondarsi, e perfezzionarsi questo edificio spirituale di aspirazioni,
ed amorosi affetti verso Dio.
Hora generalmente parlando, devisi ciò ridurre à due punti, che sono, come
due poli di tutto il cammino spirituale. Consiste il primo nell'esercizio
dell'affetto incominciando dall’abborrimento da tutto il temporale e visibile e
finalmente da tutto quello che non è Dio. Il secondo polo è una costante conversione
in Dio per mezzo dell’aspirazioni ed affetti della volontà. Deve dunque l'anima
impiegarsi sempre in questi due esercizi di avversione e conversione.
L'avversione si esercita con atti di contrizione, di mortificazione, di
astrazione e separazione da tutte le cose create, e questo esercizio è il
principale mezzo per acquistare la purità del cuore. La conversione si esercita
con atti d’aspirazioni, cioè di vivi ed accesi desideri di Dio e di qualsivogl’altro
affetto amoroso ed unitivo. Quello dell'avversione non è altro se non
appartarsi coll'affetto da tutte le cose rinunziando e volgendo le spalle a
tutte le creature e ripetendo quelle parole di Davide L'anima mia ha ricusato di essere consolata. E quelle altre; Ecco, che fuggendo mi sono dilungato e mi
sono fermato nella solitudine. E quelle di Giob: L’Anima mia hà eletto lo star sospesa, e tutte l’ossa mie la morte.
Con queste aspirazioni pare, che l'anima si spedisca e dia l'ultimo addio a
tutti li gusti e contenti, a tutti gl’appogi e consolazioni create, ed in una
parola a tutte le cose della terra, già più non aspettando ricevere da loro
alcuna consolazione. Ripete quest'anima con volontà deliberata quelle parole di
Giob: Io ho disperato ed ho detto, già
più io non viverò, cioè come prima viveva; anzi io sono risoluta di morire
ad ogni cosa: io morirò nel mio piccolo nido e come una palma moltiplicherò i
miei giorni.
Consiste propriamente la conversione nel più e più internarsi in Dio con
questa estensione di desideri e di amore, nel sommergersi e profondarsi come
una piccola stilla d'acqua nell'immenso oceano del suo amore e bontà,
picchiando alla porta della misericordia e domandandogli l'ingresso nelle
viscere del suo amore e pietà e dicendo le seguenti o altre somiglianti parole:
O amore, o amore immenso del mio Dio, tù
solo sarai il vero e totale amore mio, tà solo sarai tutta la mia speranza e
godimento, tu sarai tutto il mio bene, tu sarai la sete e fame del mio cuore.
me del mio cuore. Questa, ò altre simili aspirazioni dovranno ripetersi secondo
il proprio stato di ciascheduno. Possono altresì dirsi quelle parole del Salmo:
L’Anima mia hà havuto sete di te, ò
quell'altre: Amarò te Signore, e Dio mio,
che mi aiuti, mi protegghi, e sei il sostegno della mia salute; è in fine
quelle della Sposa: Mostrami dove ti
pasci, e ti riposi nel mezzo giorno.
E perche la predetta avverfione nasce eziandio dall'Amore, ed è uno de'mezzi
per internarsi con la conversione amorosa in Dio. L’avversione si assomiglia à
chi si ritira in dietro per spiccar un maggior salto e la conversione è il medesimo
salto, che spicchiamo per internarsi in Dio. Questi due muovimenti, che noi
chiamiamo d'avversione e conversione è necessario, che vadano molto uniti in quelli,
che desiderano approfittarsi e specialmente ne'principi, deve per ciò l'anima
appartarsi da tutto coll'aversione, ed entrarsene in Dio coll'amore, e conversione:
Ecco, che fuggendo mi sono dilongato
(diceva David) e mi sono fermato nella solitudine.
Non deve con tutto ciò, se brama approfittarsi, esercitarsi continuamente in
una, mà è mestieri il farlo hor in una, ed hora nell’altra, ed in questo modo
adempirà quello disse Christo Signor nostro: Uscirà ed entrarà , e ritrovarà pascoli. Non può dirsi à bastanza,
e per avventura non lo crederà se non chi l’esperimenta quanto vicendevolmente si
aiutino questi due esercizi: Imperoche con il primo, qual'è l'aversione si và
purificando il cuore da tutti i peccati, habiti, e vizi, passioni
immortificate, imagini, e specie . D'onde proviene rimanersi l'Anima astratta e
dilungata e ignorante e come dimentica di tutte le cose terrene e si acquista
una perfettissima purità di cuore, che è l'ultima disposizione ad unirsi e
trasformarsi in Dio per amore.
Ma quantunque questi due siano gl’essenziali e propri esercizi, tuttavia
perche tutti non possono sempre camminare fra questi due poli, porremo altre due maniere
d’esercizi, che possono aiutare molto à due già detti e non sono tanto vigorosi
e vehementi come i poc’anzi addotti. Uno di questi è l’esercizio di rendimenti
di grazie e lodi Divine, con il quale s’inalza il cuore a rendere grazie a Dio
de’benefici e grazie, quali habbiamo ricevute dalla sua mano. L'altro e
discendere ed abbassarsi alla conoscimento della nostra viltà e miseria. Questi
due esercizi sopramodo giovano a conservare i due principali modi sopraddetti
di avversione e conversione ed affinché questi quattro esercizi possano meglio tenersi
à memoria, li potremo ridurre a quattro maniere di muovimenti conformandoci
alle Regole della Filosofia. Il primo muovimento ed è il principale deve essere
fra due termini, che sono di avversione e conversione: l'avversione è da ogni
peccato, da ogni disordine, da tutto il gusto, da tutte le consolazioni, da
qualsivoglia sollecitudine ed immaginazione di cosa creata. La conversione è
verso Dio procurando internarsi in lui per amore. Il cammino e spazio di questo
muovimento è l'imitazione di Cristo Signor nostro, particolarmente del suo
amore. L’altri due esercizi si danno fra due termini, che sono salire e
discendere cioè inalzando il cuore à Dio con riconoscere i benefìci ricevuti e
rendendogli per essi infinite grazie, lodarlo, benedirlo e glorificarlo; il
discendere è alla conoscenza della propria viltà, indegnità e miseria.
Questi sono i quattro principali esercizi, cioè il primo uscire da sé e da
tutte le cose, il secondo internarsi per amore in Dio. il terzo inalzare il
cuore con rendimenti di grazie e lodi di Dio, il quarto abbassarsi al proprio
conoscimento ed in questi si racchiude tutta la perfezione della vita
spirituale. Imperoche in questa importa molto, che l'anima habbia qualche
appoggio e che sappia certamente in che cosa hà dà esercitarsi con frutto, mentre
coll'uno possa durare molto nell'orazione e con l'altro non vada vacillando con
la molteplicità delle cose che se gli offeriscono: altrimenti saria come il
marinaio, che non sapendo in quale porto stà o il porto al quale va. non sa sciegliere
alcun vento. Ma quello che più importa è ch’esercitandosi ne’ punti più
sostanziali della perfezione e cominciando e proseguendo e terminando in una
medesima cosa, ancorche con differenti esercizi, necessariamente farà in brieve
tempo grande profitto. Con questa diversità parimente di materia d’affetti si
dà pasto a tutti e potrà ciascheduno esercitarsi in quella cosa che gli apporta
maggiore divozione o della quale o la sua persona o il suo ufficio ha magior
bisogno.
Hora perche ogn'uno secondo lo stato del suo profitto possa sapere di che
qualità, e maniera habbiano da essere questi esercizi, sarà bene il qui brievemente
determinarli. Nella via purgativa propria de’ principanti, l'avversione hà da
essere da’ peccati, da’ gusti e diletti de’ sensi e ciò per mezzo della
contrizione e displicenza di loro e con grande abborrimento di se medesimo. La
conversione deve essere verso Dio tutto misericordioso e buono con una gran
speranza dei perdono de’ suoi peccati e con un fermo proponmento di perpetuamente
servirlo ed amarlo e di non lasciarlo mai per qualsivoglia cosa creata.
Inalzando parimente il suo cuore deve farlo con rendere grazie a Dio. perché
gli ha fatto conoscere la verità e l'ha cavato dalle tenebre dell'Egitto,
lodando la sua infinita bontà e miscncordia per haverlo in tal modo liberato
dal potere del demonio. L'abbassarsi dev’essere con il proprio conoscimento confondendosi
di vedere chi è stato in paragone a Dio.
Nella via illuminativa l'avversione dev’ essere da’ peccati veniali ed
imperfezioni, che sono l'origine de’ disordini e delle passioni non mortificate
e principalmente dell'amor proprio, che è l'origine di tutte, e ciò deve
eseguirsi per mezzo dell'annegazione e mortificazione delle passioni. La
conversione dev’ essere puramente verso Dio e perch’ egli è Dio. La guida e
cammino così per mortificare l'amor proprio e per la perfetta annegazione di se
medesimo, come per acquistare le virtù e maggiormente internarsi in Dio, dev’
essere l'imitazione della vita di Christo. L'inalzamento del cuore a Dio,
dev’esser rendendogli grazie per tutti i benefici generali e particolari
ricevuti dall'anima. L'abbassamento hà da esser con cercare ed acquistare con
perfezione la virtù dell'humiltà.
Nella via unitiva deve essere l'avversione da tutti i pensieri e memoria di
qualsivoglia gusto ed attaccamento alle creature e ciò per mezzo della purità e
limpidezza del cuore, la qual consiste nel tenere il medesimo cuore occupato in
Dio e vuoto di tutte le creature, in modo tale, che sia chiusa la porta non
solamente alle cose, che possono macchiarla, mà eziandio à tutte quelle, che la
possono occupare, e con la loro memoria e rappresentazioni colorirgli nell'anima
le proprie immagini. La conversione dev’esser per mezzo dell’unione e
trasformazione in Dio, bramando divenire seco per amore un medesimo spirito ed
una medesima cosa. Il mezzo perciò dev’essere Giesù Christo, considerando il
amore grande che ci porta, procurando trasformarci nel suo spirito. L'abbassamento
del cuore dev’esser nell'abisso del proprio niente, ponendosi sotto i piedi di
tutte le creature, humiliandosi in qualsivoglia modo possibile di abiezzione e
di disprezzo. L'inalzamento del cuore dev’esser con rendere infinite grazie à
Dio per i benefici, che a sè stesso ed à tutto il mondo ha fatti,bramando che
sia lodato, esaltato e glorificato da tutte le creature per tutti i secoli e
nell'eternità senza fine. Amen.
[1] Questo passo che P. Tommaso atiribuisce a
san Bernardo è in realtà di Guglielmo di Saint-Thierry. La contemplazione di Dio-Natura e valore dell’amore Preghiere meditate.
Opere 3, Roma 1998. p. 85.
[3] S. Agostino, Confessiones, VII. 5.7.
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